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Un film al giorno Vol. 2


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Su La favorita sono d'accordo con TomThom, anche a me ha lasciato poco rispetto ai film precedenti di Lanthimos. Poi boh, sicuramente sarò io che non capisco, ma tutto sto grandangolo dopo un po' mi viene a noia

7 hours ago, On a Friday said:

Ultimamente ho visto Ride di Mastandrea, carino anche se mi aspettavo qualcosa di più sinceramente.

Stesso discorso per Tre volti: carino, scorre bene, i paesaggi sono bellissimi. Ma un pochino sconclusionato, mi sono perso dei passaggi, o forse non c'erano nemmeno.

Cold War invece una gioia da vedere, uno dei film più belli degli ultimi mesi (che ho visto naturalmente).

Qualcuno invece per caso ha visto "Lontano da qui" e "Green Book"? Il primo credo sia di qualche tempo fa

Green book lo consiglio, l'altro non lo conosco

Ride te l'hai visto al cinema o l'hai trovato altrove? Ero curiosa di vederlo anch'io ma ormai al cinema non lo trovo più, se hai altre fonti fai sapere please

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15 hours ago, Beat said:

Ride te l'hai visto al cinema o l'hai trovato altrove? Ero curiosa di vederlo anch'io ma ormai al cinema non lo trovo più, se hai altre fonti fai sapere please

Ride l'ho visto al cinema, ma ad un cineforum. In programmazione "normale" non credo sia nemmeno mai andato, deve essere lasciato spazio al remake di Mary Poppins, non scherziamo:faniente:

Se lo trovo da altre vie ti faccio sapere:)

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  • 2 weeks later...

green book bello ma non un capolavoro, di sicuro un film da oscar, nel senso che ci sono tutti i presupposti: film sul razzismo, storia sia commovente che divertente, attori ottimi, uno dei quali ingrassato ed imbruttito, cosa che porta quasi matematicamente alla statuetta! :D 

comunque a mio parere il Viggo l'oscar se lo meriterebbe a prescindere, data la carriera :ok: 

 

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Dopo un'animata discussione con un amico, il quale trova normale guardare i film doppiati nella propria lingua (cosa che io ritengo personalmente buona solo per le famiglie da centro commerciale e stop), pongo la domanda anche a voi: qual è il vostro punto di vista in merito?
Perché guardare un film diverso da quello originale così com'è stato realizzato dal regista, per quanto eccellente possa essere il doppiaggio?

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Dipende da caso a caso, non faccio assolutismi. Se la qualità del doppiaggio è davvero buona in linea di massima tendo a preferirlo, almeno per la prima visione. Proprio perché mi è caro il lavoro del regista, vorrei godere delle immagini in maniera immediata, senza che gli occhi debbano saltellare continuamente tra il fondo e il centro dello schermo. I sottotitoli, oltre a deturpare l’immagine, sviliscono la potenza del montaggio, proprio perché modificano il ritmo di quel che si osserva.

Ad ogni modo se si conosce la lingua ovviamente non ci sono problemi. Con l’inglese spesso fila tutto liscio, ma se già parliamo di francese per me è un casino, o ancora peggio di russo, tedesco, polacco ecc. Non c’è possibilità di capire nulla, e quindi si è vittima dell’egemonia del sottotitolo. E se devo passare due ore a leggere parole scritte, con le immagini che scappano via appena provo a guardarle, tanto vale comprare la sceneggiatura originale e leggerla in treno. In un film di Tarkovskij ad esempio, devo essere in grado di godere nello stesso momento delle immagini meravigliose e dei testi poetici spesso in fuori campo. Se lo guardo sottotitolato devo fare una scelta impossibile tra l’uno e l’altro, e quindi opto per le immagini.
L’immagine ha una potenza primordiale ben più profonda della giovane parola, e ha un impatto più diretto con le nostre immagini interiori. Lo scontro sincronico tra immagine e parola è ancora più importante e sottovalutato.

Ciò è valido come ripeto in particolare per le prime visioni, perché bisogna permettere alle immagini di sorprenderci e di costruire pian piano i loro meccanismi di senso. Una volta che questa porta è sfondata, si può tranquillamente rivedere il film in lingua originale e godere della “spazialità” delle voci, che è infondo l’elemento che più si perde nel doppiaggio. I film di Lynch ad esempio guadagnano radicalmente in originale, proprio perché c’è Lynch stesso al sound design, e rende tutte le voci attutite, lontane, in un’altra dimensione, e questo ha conseguenze rilevanti su l’atmosfera complessiva.

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Io qualche anno mi sono abituata a guardare i film in lingua originale e faccio un po' fatica a sopportare il doppiaggio, soprattutto quando viene fatto da doppiatori "invadenti" tipo Insegno e Pannofino. E' vero come dice Gasba che se si devono seguire i sottotitoli si perde inevitabilmente qualcosa nella fruizione delle immagini, ma la voce degli attori e i dialoghi originali mi sembrano elementi importanti tanto quanto le immagini nella valutazione complessiva di un film, e comunque secondo me quando ci si fa l'abitudine si riesce a raggiungere un buon compromesso tra immagini e testo scritto anche con lingue che non si conoscono. Di recente ad esempio ho visto Cold war in v.o. e l'ho apprezzato senza particolari sforzi anche se ovviamente non parlo una parola di polacco.

Poi ovvio, capita spesso anche di vedere film doppiati sia per accontentare altre persone che non amano/non riescono a seguire le versioni originali sia perché nei cinema di Firenze le proiezioni in lingua originale sono ancora una minoranza, ma potendo scegliere preferisco decisamente la versione originale

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Gasba ha ragionissima ma altrettanto Beat. Nemmeno io riesco più a vedere un film doppiato, sarà anche perché "non ci sono più i doppiatori di una volta" e appena sento la raucedine ridicola di un Pannofino mi viene da vomitare. Basta guardarsi Green Book, tanto per restare nell'ultimo periodo, con l'intonazione di Mortensen (per me da Oscar, altro che Mr. Robot coi baffetti) tra italiano e americano slang e immaginarselo doppiato. Da far accapponare la pelle.

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  • 1 month later...
  • 2 weeks later...

quando vedo i film alla tv ormai metto sempre l'originale, se sono in inglese, e devo dire che per quelli vecchi mi piace molto aggiungere un tassello a film che magari conoscevo solo con le voci italiane, quelli nuovi me li gusto in toto...anche se non capisco proprio tutto tutto! 

però devo dire il doppiaggio non mi fa gridare allo scandalo: trovo i doppiatori molto bravi, e in alcuni casi pure meglio di certi attori, e poi il fatto è che, come dicevano anche altri, mi risulterebbe impossibile capire un acca di un film cinese o svedese, quindi in questi casi ben venga il doppiaggio 

comunque bazzicando per molti anni la mostra del cinema (anche se ultimamente molto meno), sono abbastanza abituata ai sottotitoli...in certi casi adesso ne mettono addirittura di due lingue! :blink: :D 

concludendo...mi vanno bene tutte e tre le opzioni, a seconda del caso 

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13 hours ago, zalucy said:

e in alcuni casi pure meglio di certi attori, e poi il fatto è che, come dicevano anche altri, mi risulterebbe impossibile capire un acca di un film cinese o svedese, quindi in questi casi ben venga il doppiaggio

“Meglio” secondo te ma non necessariamente secondo la volontà della regia, però; il discorso non mi appare semplice, se si considera la pellicola come opera in toto.

Mi ricollego qui anche alle risposte precedenti, soprattutto quella di Gasba - senza entrare nel merito di un Tarkovskij ma volendo fare un discorso generale: l’atto stesso dello stabilire che sia preferibile godere pienamente della fotografia di un film a discapito dell’audio originale piuttosto che dover passare ciclicamente lo sguardo sui sottotitoli, non è questo un anteporre una propria idea soggettiva di fruizione dell’opera a quella (che non possiamo in nessun caso presumere di conoscere) del regista stesso, una sorta di bizzarra “intromissione” nella pellicola? Lo stesso dissociare e scindere l’unita immagine/audio di un film volendo presumerne diverse priorità e apportandone modifiche, non è questo uno strano irrompere chirurgico all’interno di un volere altrui? Mi appare molto strano, personalmente, il concetto fruizione di opere non originali.

Trovo poco onesto in realtà anche lo stesso concetto di sottotitolo poiché mai esatto in quanto traduzione, che malvedo, quest’ultima, come disciplina applicata alle Arti.

Sono sempre personalmente dell’idea che all’interno di un sistema d’arte (che si parli di poesia, letteratura, cinema, pittura, scultura o di vattelapesca) sarebbe preferibile che l’opera entrasse in collisione con i limiti (linguistici, in questo caso, ma non solo) del fruitore piuttosto che il suo attuale moltiplicarsi in una serie di imitazioni/altrui interpretazioni per rendersi universalmente comprensibile.

Quindi: bene poter guardare un Lynch doppiato, ma non è un Lynch che avremo guardato, bensì una sua versione tarocca; bene poter leggere una traduzione di Dostoevskij senza conoscere un’acca di russo, ma sarebbe sbagliato pretendere di aver letto Dostoevskij. Così come sarebbe difficile pensare che leggere una versione cinese della Commedia possa significare l’aver letto Dante.

(Avrei delle riserve pure sul fatto di guardare prima un film in versione doppiata e solo poi in versione originale, ma è un altro discorso).

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10 hours ago, modifiedbear said:

“Meglio” secondo te ma non necessariamente secondo la volontà della regia, però; il discorso non mi appare semplice, se si considera la pellicola come opera in toto.

"meglio" nel senso che alcuni attori hanno una voce che io trovo pessima, si mangiano le parole, ecc ecc, allora ben vengano i doppiatori! :D 

naturalmente io non ho il tuo sacro fuoco per l'arte in generale, e il cinema in particolare, quindi non mi infervoro per la purezza dell'opera, anzi, come dicevo, è anche divertente trovare valore in cose che apparentemente dovrebbero essere d'impiccio per il godimento dell'arte

invece sposando la tua tesi ricordo ancora con piacere un film coreano alla mostra di un bel po' di anni fa, in cui ad un certo punto gli attori si sono messi a dire parolacce in italiano! troppo bello! :D:D:D

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  • 3 weeks later...
On 4/17/2019 at 10:54 AM, modifiedbear said:

l’atto stesso dello stabilire che sia preferibile godere pienamente della fotografia di un film a discapito dell’audio originale piuttosto che dover passare ciclicamente lo sguardo sui sottotitoli, non è questo un anteporre una propria idea soggettiva di fruizione dell’opera a quella (che non possiamo in nessun caso presumere di conoscere) del regista stesso, una sorta di bizzarra “intromissione” nella pellicola? Lo stesso dissociare e scindere l’unita immagine/audio di un film volendo presumerne diverse priorità e apportandone modifiche, non è questo uno strano irrompere chirurgico all’interno di un volere altrui?

La frase in grassetto contraddice i presupposti della domanda!
E poi scusa, tu riesci a fruire di un'opera senza intrometterti? Spiegami come!
Certo che mi intrometto, certo che antepongo la mia idea soggettiva di fruizione, proprio perché fino in fondo non potremo conoscere quella dell'autore (soprattutto calcolando che ogni autore è una galassia a sé). L'unica certezza che abbiamo è che il regista di norma concepisce la propria opera senza sottotitoli, e questo è il mio punto di partenza.

Il cinema è l'arte dell'allucinazione, lo spettatore deve smarrirsi dentro qualcosa (dentro un'avventura, un incubo, un desiderio, una meditazione critica o spirituale, ecc.).
Persino nella veglia critica (Pasolini, Godard, Antonioni) il cinema è l'arte del buio in sala.
I sottotitoli invece "tengono sempre la luce accesa", aggiungono "uno step di troppo" in questo processo di smarrimento/simbiosi - step che in nessun caso è rintracciabile nell'esperienza originale. E poi non ho parlato specificamente di "fotografia", ma del più importante montaggio, del ritmo, dell'orchestrazione temporale millimetrica che si sputtana, anche se nessuno ci fa caso.
Inoltre un sottotitolo medio, diciamo "fatto bene", è composto di circa 10 caratteri al secondo, cioè NIENTE: questo significa asciugare necessariamente il testo il più possibile ed eliminare di sana pianta tutto il superfluo e tenere solo il significato spicciolo. Dell'originale rimane comunque ben poco.
Vedere ad esempio un iper-dialogato Bergman oltraggiato in questa maniera equivale a leggere per due ore un riassuntino scritto dell'originale. Ma al cinema non si va per leggere, si va per guardare e ascoltare e smarrirsi.
Vero che anche nel doppiaggio spesso si piega il testo al labiale, ma si favorisce la completezza del testo.
Una traduzione approssima per troncamento, l'altra per arrotondamento. Una salvaguarda l'originalità del film, l'altra l'originalità dell'esperienza filmica. Ma in qualunque caso si perderà qualcosa di importante.

Per come la vedo io, in un film occhi e orecchie devono vivere in simbiosi, agire in simultanea senza accavallarsi o intralciarsi. Se l'audio viene rimandato a forza nel video, attraverso il sottotitolo, ho già un'esperienza falsificata, diversa. Una specie di sovraccarico di fondo che mantiene sempre l'opera razionalmente distaccata. C'è differenza tra il comprendere le parole ascoltandole o leggendole, vengono attivate aree del cervello differenti, sono in definitiva due esperienze molto differenti.
Così come c'è differenza, a livello elettrico-cerebrale, tra il muovere compulsivamente gli occhi sui sottotitoli o tenerli fissi su un punto (ad es. sul volto di un attore), come magari farebbe un normale spettatore madrelingua. Insomma il diagramma dell'attenzione, costruito dal regista con tanta fatica, si sputtana alla grande.
Si potrebbe quasi dire che il doppiaggio piace a due categorie di spettatori: quelli a cui del cinema non frega assolutamente nulla, e quelli a cui frega troppo. 
Chiaro poi che il doppiaggio in sé, come qualsiasi altro tipo di traduzione, sia grottesco e ridicolo, parecchio cialtrone e a volte tragico (come Solaris di Tarkovskij doppiato in dialetto... :triste:), ma se nascosto per benino offre paradossalmente un buon compromesso per restituire l'illusione che più si avvicina a quella concepita dal regista.
 

On 4/17/2019 at 10:54 AM, modifiedbear said:

Mi appare molto strano, personalmente, il concetto fruizione di opere non originali.

Trovo poco onesto in realtà anche lo stesso concetto di sottotitolo poiché mai esatto in quanto traduzione, che malvedo, quest’ultima, come disciplina applicata alle Arti.

Sono sempre personalmente dell’idea che all’interno di un sistema d’arte (che si parli di poesia, letteratura, cinema, pittura, scultura o di vattelapesca) sarebbe preferibile che l’opera entrasse in collisione con i limiti (linguistici, in questo caso, ma non solo) del fruitore piuttosto che il suo attuale moltiplicarsi in una serie di imitazioni/altrui interpretazioni per rendersi universalmente comprensibile.

Quindi: bene poter guardare un Lynch doppiato, ma non è un Lynch che avremo guardato, bensì una sua versione tarocca; bene poter leggere una traduzione di Dostoevskij senza conoscere un’acca di russo, ma sarebbe sbagliato pretendere di aver letto Dostoevskij. Così come sarebbe difficile pensare che leggere una versione cinese della Commedia possa significare l’aver letto Dante.

Mha, oddio... 
Mi sembrano assolutismi un po' ingenui.
Voglio dire... è ovvio che l'originale è unico e insostituibile. Qualcuno lo mette in dubbio? La traduzione non sostituisce mai l'originale, ma l'affianca, la correda.
Però escludere una qualsiasi contaminazione dell'opera da parte della cultura umana in nome della purezza originale mi sembra assurdo se non idiota. Dubito fortemente che tu non legga traduzioni di sorta. Gran parte di ciò che sai su Picasso lo sai solo grazie a interpretazioni di terzi. Senza di quelle non sapresti che fartene, di Picasso.
E poi a questo punto, ad essere rigorosi, neanche tu hai mai letto Dante. La Commedia originale di Dante non esiste. Ne esistono copie, trascrizioni - per altro differenti tra loro - e spesso anche altrui interpretazioni. Hai letto l'originale secondo Petrocchi, casomai.
Se leggo "I Demoni" in italiano, perderò certo il pugno originale di Dostoevskij, perderò certi modi di dire e certe costruzioni proprie del russo, ma non perderò tutte le ripercussioni filosofiche ed esistenziali che un'opera del genere può offrire.
Pensa se Nietzsche, rispettando il tuo dogma, non avesse mai letto Dostoevskij tradotto in francese.
Eh ma bisogna arrendersi ai limiti! Vallo a dire a Nietzsche.
Se poi tu non vuoi leggere Dostoevskij tradotto perché impuro sei liberissimo eh.
Però certi dogmi non rendono giustizia al carattere delirante/caotico dell'umanità.
I nostri stessi corpi sono un continuo tradursi di codici, un continuo copia-incolla, un delirio di scritture e riscritture. Che gli umani interferiscano e si riproducano! Fanculo i dogmi puristi della domenica.

Poi è chiaro che ci sono opere intraducibili più di altre, per i motivi più disparati. Mi vengono in mente ad esempio Straub e Huillet, dove l'immagine è sempre subordinata al testo, oppure tutto Carmelo Bene, che fa dell'immediatezza e della distruzione del linguaggio la sua stessa essenza.
Bene poggia TUTTO sul significante, sulla musicalità. Il significato di una parola conta meno che mai, e la traduzione è inutile non perché il testo sia intraducibile, ma perché letteralmente "non c'è niente da tradurre". Bene deve tutto all'Ulisse di Joyce, altra opera intraducibile, che però guarda caso egli ha letto in italiano, nella pregiata traduzione di De Angelis.
Felice anche in questo caso che Carmelo Bene non si sia arreso ai propri limiti linguistici!

Per fortuna ognuno può valutare caso per caso che tipo di approccio avere con ogni singola opera, senza il bisogno di scadere in assolutismi o generalizzazioni che per forza di cose andranno ad appiattire e standardizzare le realtà specifiche e particolari.

Bisogna farsene una ragione: la maggior parte dell'arte è mediata da un interprete, proprio perché la maggior parte dell'arte si impronta sul significato e non sul significante. Finché l'arte significherà qualcosa, finché si appoggerà al simbolico, sarà mediata. Non c'è bisogno di interpretare un arabesco per goderne appieno, ma lo stesso non si può dire per la Cappella Sistina.
Ma estremizziamo ancora un po': se non hai mai letto Dostoevskij a questo punto non hai neanche mai ascoltato Beethoven, perché quel che ascolti non è necessariamente quel che Beethoven ha concepito, il cosiddetto "Beethoven originale", ma quel che il direttore interpreta dello spartito, in base alla propria sensibilità e cultura, con quella specifica orchestra. Decidere di ascoltare Abbado oppure Karajan equivale a scegliere la traduzione che più ti aggrada di un libro o, per restare in tema, se vedere un film doppiato o sottotitolato. In qualunque caso qualcosa andrà perso nella traduzione, bisogna solo decidere cosa in base alla propria sensibilità soggettiva.
Per me l'essenza del cinema, la vera potenza del cinema (cioè il suo carattere significante, specifico e unico) non sta nelle parole pronunciate in una certa lingua, né tantomeno nella "grande interpretazione" di un attore, ma sta nel movimento, nel "montaggio" nel suo senso più ampio, nelle interferenze costruttive e distruttive del tempo-corpo, in quelle macchie di luce che si intrecciano sullo schermo e generano movimento elettrico di riflesso nei nostri cervelli, indirizzando i moti dell'anima attraverso schemi che somigliano parecchio a quelli immersivi del sogno.
E i sogni, come le allucinazioni o le estasi, non sono sottotitolati.

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On 5/6/2019 at 9:49 PM, Gasba said:

La frase in grassetto contraddice i presupposti della domanda!
E poi scusa, tu riesci a fruire di un'opera senza intrometterti? Spiegami come!
Certo che mi intrometto, certo che antepongo la mia idea soggettiva di fruizione, proprio perché fino in fondo non potremo conoscere quella dell'autore (soprattutto calcolando che ogni autore è una galassia a sé). L'unica certezza che abbiamo è che il regista di norma concepisce la propria opera senza sottotitoli, e questo è il mio punto di partenza.

Il cinema è l'arte dell'allucinazione, lo spettatore deve smarrirsi dentro qualcosa (dentro un'avventura, un incubo, un desiderio, una meditazione critica o spirituale, ecc.).
Persino nella veglia critica (Pasolini, Godard, Antonioni) il cinema è l'arte del buio in sala.
I sottotitoli invece "tengono sempre la luce accesa", aggiungono "uno step di troppo" in questo processo di smarrimento/simbiosi - step che in nessun caso è rintracciabile nell'esperienza originale. E poi non ho parlato specificamente di "fotografia", ma del più importante montaggio, del ritmo, dell'orchestrazione temporale millimetrica che si sputtana, anche se nessuno ci fa caso.
Inoltre un sottotitolo medio, diciamo "fatto bene", è composto di circa 10 caratteri al secondo, cioè NIENTE: questo significa asciugare necessariamente il testo il più possibile ed eliminare di sana pianta tutto il superfluo e tenere solo il significato spicciolo. Dell'originale rimane comunque ben poco.
Vedere ad esempio un iper-dialogato Bergman oltraggiato in questa maniera equivale a leggere per due ore un riassuntino scritto dell'originale. Ma al cinema non si va per leggere, si va per guardare e ascoltare e smarrirsi.
Vero che anche nel doppiaggio spesso si piega il testo al labiale, ma si favorisce la completezza del testo.
Una traduzione approssima per troncamento, l'altra per arrotondamento. Una salvaguarda l'originalità del film, l'altra l'originalità dell'esperienza filmica. Ma in qualunque caso si perderà qualcosa di importante.

Per come la vedo io, in un film occhi e orecchie devono vivere in simbiosi, agire in simultanea senza accavallarsi o intralciarsi. Se l'audio viene rimandato a forza nel video, attraverso il sottotitolo, ho già un'esperienza falsificata, diversa. Una specie di sovraccarico di fondo che mantiene sempre l'opera razionalmente distaccata. C'è differenza tra il comprendere le parole ascoltandole o leggendole, vengono attivate aree del cervello differenti, sono in definitiva due esperienze molto differenti.
Così come c'è differenza, a livello elettrico-cerebrale, tra il muovere compulsivamente gli occhi sui sottotitoli o tenerli fissi su un punto (ad es. sul volto di un attore), come magari farebbe un normale spettatore madrelingua. Insomma il diagramma dell'attenzione, costruito dal regista con tanta fatica, si sputtana alla grande.
Si potrebbe quasi dire che il doppiaggio piace a due categorie di spettatori: quelli a cui del cinema non frega assolutamente nulla, e quelli a cui frega troppo. 
Chiaro poi che il doppiaggio in sé, come qualsiasi altro tipo di traduzione, sia grottesco e ridicolo, parecchio cialtrone e a volte tragico (come Solaris di Tarkovskij doppiato in dialetto... :triste:), ma se nascosto per benino offre paradossalmente un buon compromesso per restituire l'illusione che più si avvicina a quella concepita dal regista.
 

Mha, oddio... 
Mi sembrano assolutismi un po' ingenui.
Voglio dire... è ovvio che l'originale è unico e insostituibile. Qualcuno lo mette in dubbio? La traduzione non sostituisce mai l'originale, ma l'affianca, la correda.
Però escludere una qualsiasi contaminazione dell'opera da parte della cultura umana in nome della purezza originale mi sembra assurdo se non idiota. Dubito fortemente che tu non legga traduzioni di sorta. Gran parte di ciò che sai su Picasso lo sai solo grazie a interpretazioni di terzi. Senza di quelle non sapresti che fartene, di Picasso.
E poi a questo punto, ad essere rigorosi, neanche tu hai mai letto Dante. La Commedia originale di Dante non esiste. Ne esistono copie, trascrizioni - per altro differenti tra loro - e spesso anche altrui interpretazioni. Hai letto l'originale secondo Petrocchi, casomai.
Se leggo "I Demoni" in italiano, perderò certo il pugno originale di Dostoevskij, perderò certi modi di dire e certe costruzioni proprie del russo, ma non perderò tutte le ripercussioni filosofiche ed esistenziali che un'opera del genere può offrire.
Pensa se Nietzsche, rispettando il tuo dogma, non avesse mai letto Dostoevskij tradotto in francese.
Eh ma bisogna arrendersi ai limiti! Vallo a dire a Nietzsche.
Se poi tu non vuoi leggere Dostoevskij tradotto perché impuro sei liberissimo eh.
Però certi dogmi non rendono giustizia al carattere delirante/caotico dell'umanità.
I nostri stessi corpi sono un continuo tradursi di codici, un continuo copia-incolla, un delirio di scritture e riscritture. Che gli umani interferiscano e si riproducano! Fanculo i dogmi puristi della domenica.

Poi è chiaro che ci sono opere intraducibili più di altre, per i motivi più disparati. Mi vengono in mente ad esempio Straub e Huillet, dove l'immagine è sempre subordinata al testo, oppure tutto Carmelo Bene, che fa dell'immediatezza e della distruzione del linguaggio la sua stessa essenza.
Bene poggia TUTTO sul significante, sulla musicalità. Il significato di una parola conta meno che mai, e la traduzione è inutile non perché il testo sia intraducibile, ma perché letteralmente "non c'è niente da tradurre". Bene deve tutto all'Ulisse di Joyce, altra opera intraducibile, che però guarda caso egli ha letto in italiano, nella pregiata traduzione di De Angelis.
Felice anche in questo caso che Carmelo Bene non si sia arreso ai propri limiti linguistici!

Per fortuna ognuno può valutare caso per caso che tipo di approccio avere con ogni singola opera, senza il bisogno di scadere in assolutismi o generalizzazioni che per forza di cose andranno ad appiattire e standardizzare le realtà specifiche e particolari.

Bisogna farsene una ragione: la maggior parte dell'arte è mediata da un interprete, proprio perché la maggior parte dell'arte si impronta sul significato e non sul significante. Finché l'arte significherà qualcosa, finché si appoggerà al simbolico, sarà mediata. Non c'è bisogno di interpretare un arabesco per goderne appieno, ma lo stesso non si può dire per la Cappella Sistina.
Ma estremizziamo ancora un po': se non hai mai letto Dostoevskij a questo punto non hai neanche mai ascoltato Beethoven, perché quel che ascolti non è necessariamente quel che Beethoven ha concepito, il cosiddetto "Beethoven originale", ma quel che il direttore interpreta dello spartito, in base alla propria sensibilità e cultura, con quella specifica orchestra. Decidere di ascoltare Abbado oppure Karajan equivale a scegliere la traduzione che più ti aggrada di un libro o, per restare in tema, se vedere un film doppiato o sottotitolato. In qualunque caso qualcosa andrà perso nella traduzione, bisogna solo decidere cosa in base alla propria sensibilità soggettiva.
Per me l'essenza del cinema, la vera potenza del cinema (cioè il suo carattere significante, specifico e unico) non sta nelle parole pronunciate in una certa lingua, né tantomeno nella "grande interpretazione" di un attore, ma sta nel movimento, nel "montaggio" nel suo senso più ampio, nelle interferenze costruttive e distruttive del tempo-corpo, in quelle macchie di luce che si intrecciano sullo schermo e generano movimento elettrico di riflesso nei nostri cervelli, indirizzando i moti dell'anima attraverso schemi che somigliano parecchio a quelli immersivi del sogno.
E i sogni, come le allucinazioni o le estasi, non sono sottotitolati.

Fantastico, grazie. Condivido e sottoscrivo.

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  • 4 weeks later...
  • 3 months later...

Ieri mattina, in un lampo di non-voglia di lavorare sono sceso a riguardarmi per la seconda volta Once Upon A Time in Hollywood di Tarantino, dato che è ancora nelle sale.
Non ai livelli degli Hateful, ma poco manca. Strepitoso.

Nel fare, ho deciso di riattivare la mia vecchia tessera del cinema che tenevo ferma da un paio d'anni, e mi sono ricordato del perché ogni tanto bisogna voler bene anche a questa città bistrattata: per un forfait di 20€/mese ho accesso illimitato a tutte le proiezioni di tutti i cinema della città, 7/7 e 24/24, indipendentemente dalla catena, e cinema indipendenti inclusi. E non solo nel raggio di 1km ho 5 multisala per le nuove uscite, ma giusto nel mio quartiere di cinema indipendenti ce ne sono DICIOTTO – nell'ultimo mese mi sono sparato una rassegna su Kubrick (compresa la proiezione della pellicola restaurata in 4k dello scorso anno di 2001: Odissea nello spazio), Fellini, Bergman, e recentemente rivisto quasi tutti i Tarantino su grande schermo. E la nuovissima versione di Apocalypse Now – final cut, per il 40° anniversario del film.
Con la tessera riattiva mi sa che le mie mattinate e nottate invernali sono salve alla grande.

Questa settimana saranno Parasite e il nuovo Scorsese.
In grandissima attesa di Polanski e di Joker.

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