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Migliori articoli giornalistici sportivi


FitterHappier85

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Dedicato ai malati di pallone e sport in genere...

Vi invito a citare, decantare le gesta di qualche grande giornalista sportivo, magari postando qualche articolo, qualche intervista, qualcosa che riguarda lo sport in genere che a vostro avviso valga la pena leggere.

Grazie dell'attenzione e buon proseguimento sui programmi Mediaset

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Partendo dal presupposto che non tifo Foggia,

Articolo trovato su un thread che parlava di Zeman

-Lo spirito critico di un tifoso serio, dal mio punto di vista

Lunedì 07 Febbraio 2011 18:00

"Lunedì, giorno di resoconti del tifo, delle domeniche vissute sui gradoni. Queste che seguono sono le emozioni a caldo in quel di Foggia dopo la bruciante sconfitta nel derby dell'Ofanto contro il Barletta.

Li ho visti. Perché ero lì. A pezzi, ma ero lì. Con le braccia lungo i fianchi, lo sguardo scomposto, distratto da quei trenta tesserati con le sciarpe biancorosse. Che nel settore deserto saltano, cantano, e più li guardo più mi sembrano pesci in un acquario. Ad amplificare il senso di surreale, di onirico. Sono le quattro passate di un pomeriggio già primaverile. Il Barletta ha appena espugnato lo “Zaccheria”. Per la prima volta nella storia. Per quel che vale. Per la prima volta nella nostra. Ed è diverso.

Mesi. Interi mesi spesi a parlare della bellezza di riavere Zeman e rifondare Zemanlandia; a vantarsi coi vicini di banco delle meraviglie della zona totale e della gioventù al potere; di questi giovanotti volenterosi e talentuosi, prestati a costo zero da società intuitive felici di valorizzare i propri campioncini alla corte del Boemo; della lungimiranza di Casillo, del suo brutale abbassamento dei costi. A malcelare orgoglio nell’affermare che sono stati spesi solo 10mila euro per confezionare la rosa. Ad innalzare agli altari il 3-3 del “Flaminio” o i cinque gol rifilati al Lanciano. A giustificare ogni errore – tattico e tecnico – attribuendolo all’inesperienza degli esecutori materiali, alla rigida stagione invernale e comunque contando sulla mitologica mano taumaturgica del Maestro. A rinverdire i fasti dell’anti-passione ciarlando, contro natura, di un folle divertimento anche quando si perde.

Ed ecco i risultati.

Una squadraccia orrenda, di trentenni scafati, cattivi, provocatori, messa bene in campo da un tecnico altrettanto fuori moda e lontano dai riflettori, a cui nessuno pensa di chiedere dell’esperienza di Mourinho a Madrid o di Prandelli in nazionale, che si impone 2-0, ottimizzando due calci da fermo e speculando sul contropiede.

Era già accaduto, con il Siracusa del rimpianto e silenzioso Ugolotti.

È successo ancora. Ma stavolta l’avversario ha un nome che rievoca il più antico, sentito, sanguigno derby della nostra gente. Il derby dell’Ofanto. E non è la stessa cosa. Da che calcio è calcio.

Non sono bastati gli incitamenti personalizzati, in settimana. Non è bastato far comprendere a questi ventenni, che tentano di mettersi in mostra per tornare a Napoli o a Milano, che questa partita non valeva quanto le altre. Men che meno l’avrà capito il vecchio in panca, la cui filosofia di vita e di gioco esclude i palpiti della vena arteriosa, l’adrenalina, il pathos che spezza il fiato.

E al triplice fischio, con quei trenta pesci a saltellare e la squadraccia sotto il settore ospiti, i nostri si sono rivelati per quello che sono. Li ho visti. A centrocampo, guardarsi in faccia con la metà della passione che ci mettiamo noi a calcetto, con un terzo della disperazione di una sconfitta alla playstation, decidere unilateralmente di venire a salutare la curva. Come se niente fosse. Come se bastasse battersi il petto e agitare la manina per lavare l’onta. Figli della nuova generazione, per cui una partita di calcio non è altro che un diversivo tecnico, ignari della nostra rappresentazione della battaglia. Finanche offensivi, superbi nel non volerlo apprendere.

Un boato. Disumano, scomposto, gutturale. Questo ho sentito. Ed è stato il coro più meritevole di una intera domenica passata a dover sfoderare ricordi per innalzare canzoni al cielo. Hanno fatto un passo indietro, quegli undici signorini. Costernati, increduli. Non era questa la piazza che avrebbe dovuto tutelarli come pulcini, sempre e comunque? E il mister? Non avrebbe dovuto schermarli da ogni critica? A pensarci: sono un inno vivente alla mancata voglia di crescere, di affrontare il mondo come si deve, di diventare uomini.

E si che attorno a noi c’era gente serena, pacata, anche al secondo vantaggio barlettano. “Vedrai che adesso vinciamo 4-2”. O quelli che, contro ogni evidenza, continuavano a difenderli, i pulcini viziati. Ma con una squadra di ventenni ti fai il torneo di Viareggio, non la C1. Dove in ballo ci sono le coronarie. E la dignità. 2-0 contro il Barletta allo “Zaccheria”. Non era stato accettato di buon grado neppure in Coppa Italia, due anni fa. E adesso? Quei bamboccioni, ai quali qualcuno ha raccontato della favola bella di una piazza religiosamente adorante, che accetta il circo equestre senza battere ciglio, provano ad andare sotto la Tribuna est. Nuovo boato. Nuova defenestrazione. Che dirà il mister? Che se non vede passione può anche andarsene? Uno con la squadra al settimo posto, che non fa valere il fattore campo in una città abituata a percepirsi come fortino, cosa pensa in questi frangenti? Cosa passa nel cervello di uno che, se si fosse chiamato Novelli o Pecchia, avrebbe dovuto chiedere la scorta come Saviano? Anche Arafat è stato contestato dai palestinesi, alla fine. Ed è stato più umile. E Zeman, possiamo ben dirlo (almeno questo), non è Arafat. E il patron? Cosa dirà il patron? Che siamo balordi distruttivi che non vogliono il bene di questa squadra? Lui, il rabdomante che ha trovato qui da noi la vena perpetua, che può speculare sul caro-biglietti senza che nessuno alzi la voce, che non ha mai pensato di mettere mano al portafogli per attrezzare una squadra capace non dico di vincere il campionato, ma per lo meno di regalarci il derby casalingo contro la terzultima in classifica. Lui, che all’Ariston – da gradasso – tuonò della serie A in due anni, davanti ad un pubblico anestetizzato e completamente inebetito da una variante dauna della sindrome di Stoccolma.

Adesso giocano agli offesi, quando meriterebbero d’essere cacciati a calci nel deretano.

Anche questa è ironia.

Per quanto mi riguarda, ora quella squadra può battere la Nocerina e sommergere di reti l’Atletico Roma. Ha perso il derby senza combattere. Il mio campionato è macchiato. Il mio campionato è finito."

Per quanto mi riguarda è scritto da Dio :prego: :prego: :prego:

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Presto trascriverò e postero solo per voi l'articolo che GIORGIONE TERRUZZI scrisse su Autosprint dopo la morte di Senna! :bye:

La più alta opera letteraria in Italia da Il Nome Della Rosa ad oggi. :prego:

Non aspetto altro...Giorgione è un grandissimo

Ziliani un paio di palle, perdonatemi il francesismo

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Da foggiano e tifoso del Foggia,pur capendo lo scoramento di chi va a vedere allo stadio una sconfitta con il Barletta,non sono d'accordo affatto con l'articolo postato prima. Chi scrive così,non ricorda che,negli anni scorsi abbiamo fatto anche risultati migliori,abbiamo perso una promozione con l'avellino (maledetto rivaldo) al 90',ma sempre sempre annoiandosi, e la noia è l'antitesi dello sport.

al flaminio io c'ero,e mi sono divertito (pur con tutti i rilievi del caso su tattica e scelte degli uomini).

e comunque nelle ultime due,abbiamo vinto 4-0 e 4-1!

zeman :bava:

anch'io voglio terruzzi

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Bellissima idea! Se vi frego la pensata per un topic gemello, ma sugli articoli giornalistici di cronaca, politica et similia, vi offendete?

P.S. Severgnini, Ferrero (quello del tennis di eurosport) e l'immortale Gianni Clerici sono i miei giornalisti sportivi preferiti, a livello cartaceo. Vi posto una cosa di Ferrero tra poco.

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Bellissima idea! Se vi frego la pensata per un topic gemello, ma sugli articoli giornalistici di cronaca, politica et similia, vi offendete?

P.S. Severgnini, Ferrero (quello del tennis di eurosport" e l'immortale Gianni Clerici sono i miei giornalisti sportivi preferiti, a livello cartaceo. Vi posto una cosa di Ferrero tra poco.

Fai del mio post quello che vuoi...(piu o meno) :rolleyes:

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Forster Wallace, Ferrero, Borg e una padella contro Golubev

di Federico Ferrero, Tennis Magazine, marzo 2011, pp.26-27

"Ah,ah,ah, ho capito dove devo tirare". E' il mio quarto colpo, stiamo tirando piano, ma non ho ancora preso il campo. Golubev crede che il mio rovescio sia marcio e sono già pentito di essere venuto qui. Stattene a casa, oh idiota. Se decidi di fare di queste stupidaggini almeno scaldati prima, palleggia un'ora, allungati, datti al pilates, leggi un verso di Pessoa, visualizza i match point dello US Open dal 1970 in poi, pensa positivo. Invece no. Slalom tra rotonde fradice di pioggi e ottanta semafori per spaccare il minuto, cambio al volo negli spogliatoi. 11.28 ancora in tuta, 11.31 sto già aprendo di dritto con i piedi avvitati al campo. Manco contro tua non giocheresti in queste condizioni. Uno strato di colla mentale tra il Greenset e le suole impedisce ogni accenno di spostamento. Ma muovili 'sti pali che hai al posto delle gambe, no? E mi sovviene David Forster Wallace quando raccontava, affranto, dei suoi campionati interprovinciali: non riusciva a tirare la palla di là perché c'erano venti persone che lo stavano guardicchiando, così, distrattamente. Wallace pensava agli occhi che gli puntavano le spalle, il didietro, il braccio: si irrigidiva, smarriva la tecnica, perdeva il tempo sulla palla, svaniva ogni sorta si sensibilità corporea e rifletteva. Come può un campione, che spesso è un ragazzetto di vent'anni, dare il meglio di sé in una finale Slam, con ventimila tra appassionati, attori, cantanti, giornalisti e modelle fissi sulla sua mano che alza la palla e qualche altra milionata di spettatori invitata in campo dalla televisione? A cosa può mai pensare, un tennista su un campo centrale calcato da leggende dello sport, se non a ciascuno degli esseri umani che freme per quel colpo che sta per tirare? Come si riesce a non essere colti da un crampo globale da cortocircuito emotivo e non lisciare la palla? DFW concludeva così: un campione, in quei momenti lì, non pensa assolutamente a niente. Alzs la palla, mulina la racchetta, bum. Io, invece, sto pensando a tutto tranne quello a ciò che dovrei fare. Golubev, maledizione, sarai anche un campione, ma non puoi sapere che il mio rovescio, di solito, va che è un piacere. Ma sì, certo, sono un non classificato, potrei anche impugnare la racchetta come Filini, ma è andata così solo per motivi psicologici. Allenarmi mi allenavo, poi gli altri andavano a fare i tornei, io al massimo il doppio in coppa Italia. Non devi dimostrare niente. Gioca sciolto.

Cosa si prova (domanda a cui pagherò i diritti a Silvia Vada, il faro della mia professione) a giocare contro il numero 36 del mondo? Ecco la mia ricetta se volete farlo a casa: indossare uno zaino di cemento sul groppone, ingessatevi un gomito, mangiate una torta Sacher intera, legatevi due pesi da sei chili alle caviglie, fatevi cacciare due dita unte di olio al peperoncino negli occhi da vostro nipote, tirate giù una sorsata pesante di grappa Nardini e poi scendete in campo contro chiunque sappia tirare la palla di là. E registrate le vostre sensazioni nel primo minuto. Più o meno è così che mi sento mentre provo il cross di diritto. Dai, questo è facile. Ricorda Agassi con coach Darren Cahil: quello è il colpo in sicurezza per eccellenza, la rete è bassa, il campo è lungo. Appoggi larghi, come insegna Sartori nel suo DVD. Apertura anticipata, da secoli Nick Bollettieri fa proseliti predicando l'ovvio, se funziona con i top ten funzionerà anche per te. Gira le spalle, ma l'impugnatura? Western non troppo esasperata, eh, che poi sembri Andreev. Non avverto la solita sensazione: mi pare di stringere il manico di un ombrello intinto nella maionese e di colpire disassato come Berasategui. Intanto la palla è quasi passata: porco cane! Correggi, passo indietro, accorcia la preparazione. Mezza rete. Sul colpo successivo riesco a tenere il ritmo. Grande! Però mi appago troppo presto, accorcio un po' e mi vedo recapitare un missile Scud. Non passa, per fortuna. Sullo scambio successivo, invece, la palla entra. Almeno credo: non l'ho manco vista. Ancora rovescio. Stavolta proviamo la open stance e l'apertura ampia, come faceva Pioline? Vai, stecca. Dai ca%%p, fai andare ìsto cadavere di braccio! Ti ricordi quel lungolinea vincente di Hicham Arazi contro Agassi agli Australina Open 2000? Dai, tiraglielo nei denti, fagli vedere che sei un campione mancato. Forza, ce la puoi fare. Non pensare a chi c'è dall'altra parte, pazienza se lui gioca con Tsonga a Wimbledon e tu con Davide e Fabio al circolo di Bra. Fia finta che ci sia la nonna Rina, no? Com'era quello spot della Nike? Se non credi in te stesso, chi ci crederà? Pum: fuori di tre metri.

Sempre Ferrero e Golubev. Posa falsamente aggressiva. Ho smesso di avvertire sensazioni dall'inguine alle caviglie quando Andrey mi ha visto arrivare trafelato. "Ehi, sei pronto? Ogi ti porto via racheta di bracio, ti amazo". Ride, Andrey, con quel suo italiano fluente e le consonanti doppie smozzicate, alla russa. Simpaticissimo, come sempre, cerca di mettermi a mio agio e pensa, in fondo, di doverla buttare sullo scherzo. Ma io sono inflessibile: scherziamo dopo. Ora devi tirare come nel Tour, senza pietà. Non me ne frega niente se mi fai giocare con una mano in tasca: devi fare i punti come nel tie-break del terzo set a Kuala Lumpur contro Youzhny. Proviamo qualche servizio. Uno, due, al terzo colpisco così male che mi saltano tre corde sotto la testa della racchetta. Dal 1998 non mi sentivo così scoordinato. Mi entrano un paio di prime: su una devo parare la risposta e sento un tremito dal polso alla scapola, che mi ricorda vagamente la scossa elettrica che presi da ragazzino mettendo le mani in un acquario con sistema di illuminazione difettoso. Ah, ecco perché nessuna va più a rete. Sull'altra mi vedo recapitare una pizza volante ad altezza stringhe: faccio in tempo a schivarla con un saltino alla Van Basten prima del calcio di rigore.

Poi il tie-break lungo, ai dieci. Ho già deciso che, saggiamente, farò a meno del mio colpo migliore. Solo rovesci slice. Non collaborano neanche loro: ora mi sembra di manovrare un tronco di abete mal levigato. Mentre rimugino sulla possibilità di servirgli sul rovescio, che sbaglia di più (sì, ma contro Djokovi, non Federico Ferrero) mi viene in mente quel punto che Golubev fece a Andy Murray a inizio anno. Bel pensierino da fare metre servo la seconda: doppio fallo. Mi si presenta agli occhi Bjorn Borg, quando raccontava la sua prima finale di Wimbledon nel 1976: "Dopo dici minuti ero sotto tre a zero. Iniziai a pensare che quella sarebbe stata l'unica finale di Wimbledon a finire 6-0, 6-0, 6-0."

Già, solo che Borg finì per vincere quel match, io invece sono sul campo 9 del Match Ball di Bra e finirò il tie-break con la seguente percentuale di prime in campo 0%. Doppi falli: tre. Subisco tre ace, due di fila all'inizio, e in realtà non è tanta la velocità a impressionarmi, quanto il fatto che la metta sempre negli ultimi due centimetri prima della riga. Sempre lo stesso movimento, stesso lancio di palla, mai lo stesso servizio. Mi arriva pure un vincente sulla seconda: un kick assurdo, con la palla che si arrampica al sesto piano (Andrey mi dirà: "Su quella seconda fanno fatica tutti". Grazie, lo so, me lo ricordo bene Davydenko ad Amburgo. Ma, non so perché, non mi consola del tutto). Finisce 10-1. Non ha mai avuto bisogno di rischiare, Golubev (ma va'?): quando ha lasciato andare il braccio, però, sono rimasto a tre metri dalla palla (Sì, ma guarda che spesso palleggiamo in sicurezza, mica tiriamo sempre tutto"). Il mio punto, volete sapere? Beh, è pure un bel punto: scendo sulla seconda, invoco San Llodra, mi ritrovo la palla nei piedi e tiro fuori una demivolée smorzata vincente di diritto. Ma è un problema: forse è stata troppo bella. Andrey penserà sicuramente che si è trattato di un colpo di c%%o. Sarò stato un po' meno indecente di quel tizio che perse 7-4 contro Roddick che impugnava una padella per friggere le patatine? Dite che sono paranoico? Chissà mai non sia vero.

La rifaremo in primavera: oviettivo, arrivare a tre. Anzi, no: l'obiettivo è non pensare a niente. Prenotato l'elettroshock il 15 maggio.

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Coach Dave Arsenault: "(...) Poi sono diventato allenatore. Ho studiato il regolamento FIBA e con la storia dei 30 secondi ho pensato che fosse possibile un solo ribaltamento di lato per azione (...) Poi quando hanno portato il limite a 35 secondi anche qui ho elaborato "il Sistema". Questi sono i sacramenti per vincere una partita: 1) la mia squadra deve prendere almeno 94 tiri a partita, di cui la metà devono essere delle triple. 2) i nostri avversari devono perdere almeno 32 palloni. 3) dobbiamo prendere almeno 30 tiri più di loro. 4) dobbiamo segnare in occasione di almeno un terzo dei nostri errori (...) 5) l'ideale nostra situazione è a -10 a dieci minuti dalla fine."

Scientifico. A costo di apparire blasfemo, premesso che mentre annotavo sul taccuino non sempre la penna scorreva senza balzi, direi che la caduta dell'asino sulla via di Damasco di Saul, meglio noto come Paolo di Tarso (poi addirittura popolarissimo come S.Paolo), è il solo episodio che mi sovvenga abbia prodotto un effetto più profondo su mente umana, rispetto al giorno in cui coach Arsenault studiò il regolamento FIBA.

:prego:

qui c'è quasi tutto l'articolo (inizia a pagina 61)...

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molto bello quest'ultimo, tranne per il fatto che "se non credi in te stesso, chi ci crederà?" era una pubblicità dell'ADIDAS, protagonista Kobe Bryant.

Comunque il mio idolo assoluto è Federico Buffa. ora cerco qualcosa. :)

Io parlavo di scribacchini, Buffa è anche il mio idolo, ancora assieme a Clerici, delle telecronache. Con lui e il compare il basket è un'esperienza culturale e suggestiva, non solo sport! C'è un sito con alcune loro citazioni...ora lo cerco.

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Io parlavo di scribacchini, Buffa è anche il mio idolo, ancora assieme a Clerici, delle telecronache. Con lui e il compare il basket è un'esperienza culturale e suggestiva, non solo sport! C'è un sito con alcune loro citazioni...ora lo cerco.

www.federicobuffa.com

Lo so che vi può sembrare strano ma quando all'All-Star game prima o poi lo staff, o di questo signore (Rivers.ndr) o di Stan Van Gundy o di Eric Spoelstra, dovrà dire:

"Chi chiamiamo come riserve?" ci sarà uno che dirà:

"Scusate, ma Chandler?"

"Ah, non lo dire a me. A me ne ha fatti 33 e non so neanche da dove siano venuti..."

:prego:

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  • 4 weeks later...

Obdulio Varela: Il re del centrocampo

Il capitano di una squadra di calcio raramente è un uomo qualunque. Non è obbligato ad avere talento, ma non può prescindere da lealtà, coraggio, spirito di sacrificio, lucidità. Il capitano è il saggio del campo, ergo il leader.

Obdulio Varela, capitano del Penarol e dell’Uruguay, non era nato per essere un fuoriclasse. Era un proletario, un centrocampista convertito a libero, dai piedi grezzi. Ma a lui il suo paese deve la sua seconda Coppa del Mondo.

E’ il 16 luglio 1950, stadio Maracanà di Rio de Janeiro. Una torcida di 200.000 tifosi è già pronta a festeggiare la prima vittoria mondiale del Brasile. Un popolo intero attende il carnevale del dopogara per le ruas.

I carioca sono forti, fortissimi. Hanno rifilato sei gol a Svezia e Spagna. La Federcalcio uruguayana è rassegnata a perdere, ma vuole una sconfitta dignitosa, non più di quattro gol di scarto.

Obdulio non ci sta. Ha 33 anni, è l’unico della squadra ad avere esperienza internazionale, è all’apice della sua carriera, e all’uscita dagli spogliatoi carica i suoi: “Non guardate mai le tribune! La partita si gioca qui sotto!”. Impedisce persino il lancio della monetina, riconsegnandola all’arbitro per dare ai brasiliani, così dice, la consolazione del calcio d’inizio. E’ sicuro, sarà la sua nazionale a laurearsi campione.

La gara fila liscia fino al sesto minuto del secondo tempo, quando Friaca mette a segno il vantaggio del Brasile. Il Maracanà è un boato di gioia, per l’Uruguay sembra finita. Sembra. Perché Obdulio freddamente si avvicina alla propria porta, prende il pallone, osa anche protestare per un fuorigioco, mentre intorno a lui è una bolgia infernale. Poi torna verso il cerchio di centrocampo, lentamente. Ci mette tre minuti tre per raggiungere l’arbitro. Chiede un interprete, discute con il direttore di gara, mentre i tifosi, riavutisi dall’ubriacatura del gol, cominciano a mostrare i primi segni di insofferenza, ad insultarlo. Obdulio guarda provocatoriamente la folla. Ha ottenuto ciò che voleva: ha raffreddato gli animi. La partita, sul piano emotivo, torna ad essere in parità. Anzi no. Obdulio guarda i suoi e dice: “Questa partita la vinciamo noi”.

Da quel momento l’Uruguay è una furia: prima pareggia, con Schiaffino, al 19’, ammutolendo d’un colpo il Maracanà. Poi, a nove minuti dal termine, infila il gol del trionfo con Ghiggia. L’Uruguay è campione del mondo, il Brasile un paese in lutto.

Quella notte Obdulio non lascia Rio. Si confonde fra i tanti brasiliani che prendono d’assalto, disperati, i tanti bar della città. Beve con loro, ne condivide l’amarezza. E’ una strana notte di gioia e lacrime, che racconta con queste parole: “Il proprietario del bar si è avvicinato a noi insieme a quel tizio grande e grosso che piangeva. Gli ha detto: – Lo sa chi è questo qui? E’ Obdulio – . Io ho pensato che il tizio mi avrebbe ammazzato. Ma mi ha guardato, mi ha abbracciato e ha continuato a piangere. Subito dopo mi ha detto: – Obdulio, accetta di venire a bere un bicchiere con noi? Vogliamo dimenticare, capisce? - Come potevo dirgli di no? Abbiamo passato tutta la notte a sbevazzare da un bar all’altro” (Osvaldo Soriano, Fùtbol).

Così Obdulio rinunciò alla sua festa per immedesimarsi nella sofferenza degli sconfitti, lui che di quella sconfitta era stato l’artefice. Anni dopo annegò nell’alcool e nella miseria. Ma quella notte il “grande capo nero” vinse due volte.

:prego: :prego: :prego:

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il più grande articolo di sport che abbia mai letto è di Gianni Brera e si intitola: "Mamma mia arriva il brasile"

è scritto alla vigilia della partita dell'82 contro i verdeoro. Il sunto è che l'italia non solo è spacciata, ma peggio. Nell'articolo Brera si impegna ad andare in pellegrinaggio a compostela in caso di vittoria.

Vi assicuro che è da tagliarsi in due dal ridere.

Purtroppo non l'ho mai trovato in rete, se qualcuno lo scova, mi mandi il link!

Indimenticabile poi il libro "Scoring at halftime", la biografia di George Best.

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ma l'articolo originale è diverso! a parte la spiegazione iniziale di Soriano è tutto in prima persona... comunque la storia di Varela è :prego:

Si, l'articolo è differente dalla storia, solamente la parte virgolettata è presa direttamente dalla storia di Soriano.

Recitata da Servillo poi, che spettacolo

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