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Del perche' Spotify "fa male"


@li

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Prima pensavo a questa cosa: visto che ultimamente in UK si sta cominciando - molto sporadicamente, ma è qualcosa - a proporre eventi di ascolto collettivo di dischi/vinili in sale apposite, perchè non cogliere al balzo questa cosa e introdurre il modello "sala" anche per la musica?

Il disco è pronto ma prima di metterlo in streaming o mandarlo in stampa, lo dai a delle sale "d'ascolto" e fai pagare la gente per un ascolto in anteprima in quelle sale, e lo fai solo successivamente uscire in streaming o in formato fisico per l'ascolto "home".

Al pubblico si regalerebbe un'esperienza nuova, magari si recupera un po' di cultura sulla qualità audio, ci sono delle nuovi fonti d'entrata per artisti e promoter, distributori, si collettivizza l'ascolto creando un po' di collante - che male non fa, che ormai siamo tutti alienati,

Ovviamente so che nel cinema la sala sta morendo, tuttavia sarebbe stato bello provarci anche per la musica, ai tempi "belli".

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Continuiamo cosi https://www.ilpost.it/2023/09/07/accordo-universal-deezer/

Universal Music, la più grande casa discografica del mondo, e Deezer, servizio di streaming musicale francese molto utilizzato all’estero e piuttosto sconosciuto in Italia, hanno stretto un accordo per apportare quello che secondo il Financial Times è «il primo grande cambiamento nel modello di business della musica in streaming da quando Spotify è stato lanciato nel 2008».

In base al modello economico attualmente in vigore sulle piattaforme di streaming mainstream, tutte le canzoni sono pagate allo stesso modo: chiunque detenga i diritti d’autore su un brano qualsiasi ottiene lo stesso tipo di royalties, proporzionali a quanto sia stato ascoltato. I servizi di streaming pagano ai titolari dei diritti musicali (che spesso sono le etichette discografiche che rappresentano i musicisti, e non i musicisti stessi) circa due terzi dei guadagni. Ai musicisti arriva poi una piccola parte di questa somma, che è stata stimata intorno a meno di mezzo centesimo di euro per ogni singolo ascolto, su Spotify.

Ogni brano ascoltato per più di 30 secondi viene calcolato allo stesso modo, dall’ultimo singolo di Beyoncé ai generici suoni di onde che si infrangono contro gli scogli contenuti nelle playlist di “rumore bianco”. Proprio queste playlist, molto popolari negli ultimi anni come sottofondo per lavorare o studiare, sono diventate un problema.

Con l’aumento degli strumenti tecnologici per produrre brani musicali in modo molto veloce e a bassissimo prezzo, infatti, le piattaforme hanno cominciato a ospitare centinaia di migliaia di nuovi brani di scarsa qualità che competono alla pari con le etichette discografiche e i musicisti professionisti. Spesso non sono nemmeno composti da veri produttori, ma da utenti qualunque che le generano con i software di intelligenza artificiale, mettendo insieme loop musicali in ripetizione oppure semplici rumori in sequenze infinite. Non si tratta insomma di musica ambient, genere musicale con una storia illustre, ma sono tracce musicali anonime che tuttavia vengono apprezzate da molti che cercano un sottofondo qualsiasi per rilassarsi o concentrarsi, senza interesse per la qualità.

 

Questo problema si è aggiunto a un’altra questione ben più nota, che musicisti come Neil Young e Taylor Swift hanno segnalato spesso, e cioè il fatto che i musicisti, tranne i pochi che totalizzano milioni e milioni di ascolti, ricevono proventi miseri dalle piattaforme di streaming, soprattutto da Spotify.

 

Il nuovo modello ideato da Universal Music e Deezer, invece, vuole cambiare il valore  degli ascolti di brani di artisti professionisti. Secondo l’accordo, nel calcolo del pagamento delle royalties alle canzoni di tutti gli artisti professionisti che generano almeno mille ascolti al mese verrà assegnato il doppio del peso rispetto alle altre.

 
 

Per l’amministratore delegato di Deezer Jeronimo Folgueira si tratta di un enorme cambiamento nel modo in cui funzionerà l’industria musicale. «Su Deezer ci sono 90 milioni di brani e molti di loro sono soltanto rumore. Letteralmente rumore: suoni di lavatrici o di pioggia che cade. È fondamentalmente sbagliato che 30 secondi di registrazione di una lavatrice vengano pagati come l’ultimo singolo di Harry Styles», ha detto Folgueira. «Vogliamo rimuovere gli incentivi alle persone che caricano una tonnellata di schifezze che hanno pochissimo valore per i veri ascoltatori».

Secondo il loro calcolo, la soglia dei mille ascolti è «piuttosto bassa», e dovrebbe permettere agli «artisti umani» di ottenere una maggiore quota di royalties rispetto alle canzoni generate da software o da produttori improvvisati che cercano di fare qualche soldo con poco dispendio di tempo e nessuno sforzo creativo. Per Michael Nash, dirigente di Universal, la mossa garantirebbe anche di «sostenere e premiare meglio gli artisti in tutte le fasi della loro carriera, indipendentemente dal fatto che abbiano mille, centomila o cento milioni di fan».

Le riproduzioni saranno ancora più “pesanti”, e quindi retribuite meglio, se gli ascoltatori cercano attivamente una canzone o un musicista, invece di farsi trascinare dall’algoritmo di raccomandazione della piattaforma. Per esempio, se un utente dovesse cercare “Harry Styles” sull’app di Deezer, ogni canzone ascoltata da quell’utente verrà conteggiata come quattro riproduzioni “tradizionali” nel calcolo delle royalties.

Deezer testerà il nuovo modello di pagamento in Francia da ottobre, con l’intenzione di espanderlo a livello globale a partire da gennaio. Universal sta inoltre trattando con altre piattaforme di streaming tra cui Spotify, Tidal e SoundCloud per cambiare anche il modo in cui loro distribuiscono i soldi delle royalties.

 

 

 

 

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