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l'album che vi propongo oggi è...


there_there

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vabè dai gli darò un ascolto almeno :laugh:

che è quella firma??

la firma è una citazione dell'Oneiro (=sogno) criticon (= studio) di Astrampsico, vissuto sotto l'impero bizantino, studioso del significato dei sogni.

Devi ancora dirmi degli LCD, comunque :rolleyes:

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2d1b052e.jpg

Adoro neil young,e questo disco me lo ha fatto amare definitivamente.

Ascoltatelo,sembra sentire una persona che ha avuto un forte lutto e si vuole tirare su cantando dei pezzoni rock,ma si tradisce e il dolore trasparisce ad ogni singola nota fino a impedirgli anche di cantare.

Nient'altro da dire,bellissimo,secondo me mille piste avanti a dylan e bruce.

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Elliott_Smith_EITHER_OR.jpg

Elliott Smith - Either/Or

C'è un qualcosa di superiore in Elliott Smith. Lo dico perchè tutti sappiamo prendere una chitarra in mano e suonare e cantare. Lui pure. Ma lui parla al cuore, all'anima, ti colpisce, ti sfinisce e poi ti lascia in un turbinio di emozioni, amore, rabbia, estasi.

La facilità con la quale riusciva a scrivere melodie (abbassate di un tono) da brividi, arrangiarle con una semplicità e una sapienza impressionante, e piazzarci sopra liriche da pugno allo stommmàco è, a tratti, imbarazzante per noi comuni mortali. Meno "estremo" dell'omonimo, ma a livelli compositivi volendo superiori.

Me lo immagino, che prende, va al cesso con la chitarra, e nel tempo della cagata ha tirato fuori un pezzo come Pictures of me, per registrarlo nei trenta minuti successivi con un paio di accorgimenti, quella batteria a uno-due, l'organetto, l'immancabile acustica e la sua classica chitarra elettrica ad ago, allo scopo di cucire le varie parti di melodia e renderla arrangiamento.

Immancabile, immenso, irraggiungibile.

Grazie Steven.

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Elliott_Smith_EITHER_OR.jpg

Elliott Smith - Either/Or

C'è un qualcosa di superiore in Elliott Smith. Lo dico perchè tutti sappiamo prendere una chitarra in mano e suonare e cantare. Lui pure. Ma lui parla al cuore, all'anima, ti colpisce, ti sfinisce e poi ti lascia in un turbinio di emozioni, amore, rabbia, estasi.

La facilità con la quale riusciva a scrivere melodie (abbassate di un tono) da brividi, arrangiarle con una semplicità e una sapienza impressionante, e piazzarci sopra liriche da pugno allo stommmàco è, a tratti, imbarazzante per noi comuni mortali. Meno "estremo" dell'omonimo, ma a livelli compositivi volendo superiori.

Me lo immagino, che prende, va al cesso con la chitarra, e nel tempo della cagata ha tirato fuori un pezzo come Pictures of me, per registrarlo nei trenta minuti successivi con un paio di accorgimenti, quella batteria a uno-due, l'organetto, l'immancabile acustica e la sua classica chitarra elettrica ad ago, allo scopo di cucire le varie parti di melodia e renderla arrangiamento.

Immancabile, immenso, irraggiungibile.

Grazie Steven.

:ok:

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Ho (il était temps!) aggiornato. Già che ci sono, giacche, ne approfitto per fornire il mio piccolo apporto alla crescita del thread, nel tentativo di risvegliarlo dal torpore indotto da Agosto Crudele.

Scriptofthebridge.jpg

THE CHAMELEONS - Script of the Bridge (1983)

Il post-punk britannico dei primi anni '80 erano gli Echo & the Bunnymen, i The Sound, i Sad Lovers and Giants. E i Chameleons.

"Script of the Bridge" fu la loro Genesi, nonché uno dei dischi più sottovalutati dell'intera scena, pur essendone uno degli emblemi meglio riusciti, IMFHO. Ma si sa come vanno le cose: il carisma e la sfrontatezza vincono sul talento, e Adrian Borland e Mark Burgess, oggi, nessuno sa più chi siano. Come descrivere il disco? Probabilmente con le stesse parole che userei per descrivere un quintale di altri dischi del genere: chitarre reverberanti e monocordi-nel-vero-senso-del-termine; ritmica pulsante, serrata, ossessiva; delay ed effettistica varia applicati a qualunque cosa suoni; un interpretazione sempre sopra le righe ad esprimere il malessere individuale che, a posteriori, non risulta difficile cogliere come proprio di tutta una generazione che da Ian Curtis arriva a Morrissey passando, per l'appunto, da Mark Burgess e dai suoi The Chameleons (che in italia sarebbero stati "I Camaleonti", ma è meglio non pensarci). Eppure questo disco non verrà a noia a chi ha consumato i solchi delle opere degli artisti succitati, e questo perché le canzoni godono di una ricchezza lirico-melodica degna dei migliori songwriter di tutte le epoche. Ascoltate "Second Skin" e "Monkeyland" per capire cosa intendo.

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there, credevo che certi gruppi li conoscesse soltanto chi li aveva scoperti negli anni 80...

adesso sono praticamente ignoti

all'epoca mi piacevano molto, specialmente l'album Strange Times

anche le copertine erano molto interessanti, disegni inquietanti fatti da uno dei musicisti del gruppo, credo....

http://2.bp.blogspot.com/_-29a62ZAl2M/SFrJYSNAXBI/AAAAAAAAAR8/jDXcRCRaBq0/s320/The+Chameleons+-+Strange+Times+-+Front.jpg

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there, credevo che certi gruppi li conoscesse soltanto chi li aveva scoperti negli anni 80...

adesso sono praticamente ignoti

all'epoca mi piacevano molto, specialmente l'album Strange Times

anche le copertine erano molto interessanti, disegni inquietanti fatti da uno dei musicisti del gruppo, credo....

http://2.bp.blogspot.com/_-29a62ZAl2M/SFrJYSNAXBI/AAAAAAAAAR8/jDXcRCRaBq0/s320/The+Chameleons+-+Strange+Times+-+Front.jpg

la copertina è davvero bellissima!

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le copertine erano bellissime, ma anche la musica non era da meno!

se ho capito qualcosa della musica che ti piace,dovrebbero esssere abbastanza nelle tue corde, già il fatto che abbiano prodotto i loro dischi negli anni 80.....

purtroppo non hanno mai avuto nessuna fortuna, e non riesco a spiegarmene il motivo, le loro canzoni erano belle,non particolarmente difficili da capire,genere new wave anni 80 ma più ispirati della media dei gruppi di allora

quel disco in particolare cui accennavo sopra, e che ho appena riscoltato, aveva la particolarità di avere , invece che il lato A e il B (io ho il vinile,perchè nell'86 non esistevano ancora i cd), aveva il lato A e il lato A+

il migliore era l'A+, chissa' perchè....

alcuni titoli: swamp thing, Time, The end of time, Seriocity, In answer, Childhood, I'll remember, Tears....

canzoni malinconiche su melodie semplici ma molto intense, cosa sia mancato loro per piacere alla gente non lo so, ma , ormai sono praticamente convinta del fatto che ,se qualcuno produce cose musicalmente valide, è quasi sicuramente destinato a rimanere nell'ombra :(

io metterei almeno due loro canzoni, Tears e Time tra le 50 migliori canzoni mai scritte, ma si sa,la nostra opinione non fa testo.....

tears

http://www.youtube.com/watch?v=8fTTj_x8SCo

ora proseguo con l'ascolto di Script of the bridge....

fra l'alto , Cut,un loro pezzo si intitola In shreds......(veramente...)

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le copertine erano bellissime, ma anche la musica non era da meno!

se ho capito qualcosa della musica che ti piace,dovrebbero esssere abbastanza nelle tue corde, già il fatto che abbiano prodotto i loro dischi negli anni 80.....

purtroppo non hanno mai avuto nessuna fortuna, e non riesco a spiegarmene il motivo, le loro canzoni erano belle,non particolarmente difficili da capire,genere new wave anni 80 ma più ispirati della media dei gruppi di allora

quel disco in particolare cui accennavo sopra, e che ho appena riscoltato, aveva la particolarità di avere , invece che il lato A e il B (io ho il vinile,perchè nell'86 non esistevano ancora i cd), aveva il lato A e il lato A+

il migliore era l'A+, chissa' perchè....

alcuni titoli: swamp thing, Time, The end of time, Seriocity, In answer, Childhood, I'll remember, Tears....

canzoni malinconiche su melodie semplici ma molto intense, cosa sia mancato loro per piacere alla gente non lo so, ma , ormai sono praticamente convinta del fatto che ,se qualcuno produce cose musicalmente valide, è quasi sicuramente destinato a rimanere nell'ombra :(

io metterei almeno due loro canzoni, Tears e Time tra le 50 migliori canzoni mai scritte, ma si sa,la nostra opinione non fa testo.....

tears

http://www.youtube.com/watch?v=8fTTj_x8SCo

ora proseguo con l'ascolto di Script of the bridge....

fra l'alto , Cut,un loro pezzo si intitola In shreds......(veramente...)

grazie delle info. stasera scarico sia Script of the Bridge del 1983 sia Strange Times del 1986, e li ascolto, sono proprio curioso...

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alberto+fortis.jpg

ALBERTO FORTIS, Alberto Fortis, 1979

Dimenticate pure tutto ciò che quest'uomo ha fatto dopo quest'album (e se non lo conoscete non prendetevi la briga di conoscerlo), ma su questo, se non l'avete mai fatto, spendeteci un'oretta.

Fortis qua dentro è un cantastorie, un trovatore, un saltimbanco canterino che sciorina perlopiù filastrocche, ma anche gemme assolute. le stesse suddette filastrocche sono uniche per potenza melodica, interpretazione e trasporto, estremamente caratterizzate da un arrangiamento tanto lineare e semplice quanto raffinato (dietro a esso, oltre al cantante, c'è nientepopodimeno che la PFM, che smette momentaneamente gli abiti del progressive e si dà al pop più immediato).

Il disco si apre con "A voi romani", pezzo che, se sei un padano/leghista/polentone non puoi non aver ascoltato e apprezzato, vista la tagliente critica che vi viene lanciata al popolo capitolino. segue la celebre "Milano e Vincenzo", travolgente soprattutto nel finale, dove è veramente difficile non mettersi a inneggiare alla morte di sto povero Vincenzo. Con "Il Duomo di notte" e la successiva "In soffitta" si entra nella parte più lenta e avvolgente del disco, rimanendo a livelli molto alti, per poi approdare a "La sedia di lillà", che è il capolavoro del disco, un dei pezzi più tristi e struggenti della musica italiana, che Fortis non manca di farci digerire come l'ennesima filastrocca, di quelle che la mamma raccontava la sera, ma molto più drammatica e commovente. Il finale con gli archi è altissimo, io personalmente ci perdo la testa. Giunge il momento di smorzare i toni, es ecco "Nuda e senza seno", altra tirata ironico-nonsense piacevolissima e che prende non poco.

Il difetto del disco? La disposizione delle canzoni: infatti le successive tre ("La pazienza", "Sono contento di voi" e "L'amicizia") non sono neanche paragonabili, per impatto e consistenza, alle suddette prime sei. L'effetto che quindi si ha è che l'album se ne vada piano piano, e si finisce con un po' di amaro in bocca. Molto meglio sarebbe stato disporre questi ultimi pezzi tra le altre canzoni, di sicuro il complesso ne avrebbe giovato.

Ad ogni buon conto, è un ascolto che consiglio fortemente, è un piccolo lavoro, non troppo conosciuto, ma veramente piacevolissimo da ascoltare, sia come easy listening che con orecchio un po' più attento. Se vi piace il cantare spensierato luminoso non potrete che apprezzare questo album.

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cover_ovunque_proteggi.jpg

Fin dalla terminologia usata è evidente il contrasto tra la dimensione fisica, corporea (sangue, carne, teste, mascellate, ossa, cosce, budella, cervella...), e uno slancio mistico (anime, benedizioni, crocefissi, sudari, rosari...) inedito nel canzoniere caposseliano. Tante, comunque, le parole che - al solito - vivono solo del gusto onomatopeico del loro suono: sbocco, corchide, cubiti, fricassea, inchiostro, scannato, Zoquastro... Registrate a spasso per l'Italia (Scicli, Treviso, Scordia, Rubiera, Montebello, Calitri, Scandiano, Roma, Milano), le tredici tracce sono a loro volta un pellegrinaggio nello spazio-tempo, tra luoghi mitici (Troia, il Colosseo degli antichi romani) e reali (la Mosca post-socialista, l'Asia di "Lanterne Rosse"). Un percorso affannoso in cerca di requie e protezione, come traspare dal titolo stesso dell'album.

ecco due titoli tra i miei preferiti, anche se secondo me l' album fa ascoltato tutto d' un pezzo per comprenderne l' unicità.

-Brucia Troia

-L'uomo vivo (Inno al Gioia)

Edited by ThEpAnIcThEvOMiT
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827431175-1.png

The Antlers - Hospice (2009)

Questo è un disco per farvi piacere. E non c'è nulla di male, in ciò.

In un fiume multiforme di invenzioni krauteggianti e psichedelicoidi, di solitamente insoliti deliri post-rock tortoisici, di rigurgiti {post[pre(shoegaze)]} rumorosi, benché un po' sterili (diciamocelo: un po' sterili), l'esordio di Peter Silberman e dei suoi The Antlers costituisce un'onda poco anomala e carezzevole di malinconica genuinità/genuina malinconia.

Arrivati al triste punto di dirittura finale di un'estate particolarmente calda, uno sente il bisogno di un qualcosa che suoni, al tatto, come un refrigerante bacio di innamorato che torna dall'abisso dei ricordi, materializzandosi tra le sinapsi. Eccolo: "Hospice" dei The Antlers. Per chi non ha un amore che consoli dal freddo di un Autunno che ancora non c'è (e che, proprio perché non c'è, fa sentire tutto il suo freddo), non c'è niente di meglio di questo disco; i cui solchi abbracciano tanto un pop da camera con voce e pianoforte in evidenza, nonché reminiscente dei singulti di Antony e dei suoi Johnsons, quanto vaste aperture di muri di suono che sembrano invocare "Spector delle mie brame". Il tutto prodotto certosinamente, dosando saggiamente suoni acustici ed elettronici e shoegazzando qua e là.

Se siete di quegli animali che si rotolano nel letto nottetempo, senza trovare ristoro al cuore infranto: sappiate che questo disco parla di voi.

Per chi porrebbe le non-fisiche pagine di Pitchfork su di un comodino immaginario, sotto un bicchiere nelle cui acque galleggi la dentiera del giorno prima (=nel posto che spetta di diritto alla Bibbia): è un "best new music". :)

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The Antlers - Hospice (2009)

Questo è un disco per farvi piacere. E non c'è nulla di male, in ciò.

In un fiume multiforme di invenzioni krauteggianti e psichedelicoidi, di solitamente insoliti deliri post-rock tortoisici, di rigurgiti {post[pre(shoegaze)]} rumorosi, benché un po' sterili (diciamocelo: un po' sterili), l'esordio di Peter Silberman e dei suoi The Antlers costituisce un'onda poco anomala e carezzevole di malinconica genuinità/genuina malinconia.

Arrivati al triste punto di dirittura finale di un'estate particolarmente calda, uno sente il bisogno di un qualcosa che suoni, al tatto, come un refrigerante bacio di innamorato che torna dall'abisso dei ricordi, materializzandosi tra le sinapsi. Eccolo: "Hospice" dei The Antlers. Per chi non ha un amore che consoli dal freddo di un Autunno che ancora non c'è (e che, proprio perché non c'è, fa sentire tutto il suo freddo), non c'è niente di meglio di questo disco; i cui solchi abbracciano tanto un pop da camera con voce e pianoforte in evidenza, nonché reminiscente dei singulti di Antony e dei suoi Johnsons, quanto vaste aperture di muri di suono che sembrano invocare "Spector delle mie brame". Il tutto prodotto certosinamente, dosando saggiamente suoni acustici ed elettronici e shoegazzando qua e là.

Se siete di quegli animali che si rotolano nel letto nottetempo, senza trovare ristoro al cuore infranto: sappiate che questo disco parla di voi.

Per chi porrebbe le non-fisiche pagine di Pitchfork su di un comodino immaginario, sotto un bicchiere nelle cui acque galleggi la dentiera del giorno prima (=nel posto che spetta di diritto alla Bibbia): è un "best new music". :)

mi hai incuriosito abbestia, sto scaricando :ok:

edit: sono alla 4 e mi sta piacendo tantissimo!

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Light.jpg

dunque, questo disco, Light, è di una coppia di giapponesi, Reiko e Tori Kudo; lei voce, lui pianoforte e strumenti vari. E a quanto pare è stato registrato dal vivo.

premessa: sono sette canzoni, e penso non si possa stare nel mezzo: o affascinano, o le si trova una colossale rottura di maroni, per essere fini.

motivi per esserne affascinati ce ne sono: canto piuttosto lontano da quello a cui siamo abituati qui in occidente, pianoforte a volte intenso, a volte dissonante, a volte dolcissimo.

Da quasi completa ignorante direi decisamente giapponesi

E' un po' come mi sarei immaginata un'ipotetica colonna sonora perfetta

per leggere Kawabata Yasunari (leggetelo)

Una canzone: Cat.

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squallor - cambiamento

Cambia_Mento.jpg

pietra miliare della discografia degli squallor.

su tutte dominano le performance di un improbabile vasco bossi in albachiava, e umberto bossi respinto dalla napoletana berta, che ne rifiuta le lombarde avance. anche una comparsata del compianto gigi sabani...

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The Antlers - Hospice (2009)

Questo è un disco per farvi piacere. E non c'è nulla di male, in ciò.

In un fiume multiforme di invenzioni krauteggianti e psichedelicoidi, di solitamente insoliti deliri post-rock tortoisici, di rigurgiti {post[pre(shoegaze)]} rumorosi, benché un po' sterili (diciamocelo: un po' sterili), l'esordio di Peter Silberman e dei suoi The Antlers costituisce un'onda poco anomala e carezzevole di malinconica genuinità/genuina malinconia.

Arrivati al triste punto di dirittura finale di un'estate particolarmente calda, uno sente il bisogno di un qualcosa che suoni, al tatto, come un refrigerante bacio di innamorato che torna dall'abisso dei ricordi, materializzandosi tra le sinapsi. Eccolo: "Hospice" dei The Antlers. Per chi non ha un amore che consoli dal freddo di un Autunno che ancora non c'è (e che, proprio perché non c'è, fa sentire tutto il suo freddo), non c'è niente di meglio di questo disco; i cui solchi abbracciano tanto un pop da camera con voce e pianoforte in evidenza, nonché reminiscente dei singulti di Antony e dei suoi Johnsons, quanto vaste aperture di muri di suono che sembrano invocare "Spector delle mie brame". Il tutto prodotto certosinamente, dosando saggiamente suoni acustici ed elettronici e shoegazzando qua e là.

Se siete di quegli animali che si rotolano nel letto nottetempo, senza trovare ristoro al cuore infranto: sappiate che questo disco parla di voi.

Per chi porrebbe le non-fisiche pagine di Pitchfork su di un comodino immaginario, sotto un bicchiere nelle cui acque galleggi la dentiera del giorno prima (=nel posto che spetta di diritto alla Bibbia): è un "best new music". :)

Ho ascoltato quest'album più che altro solo per come è scritta la recensione, poi leggendo e cercando ho scoperto che il gruppo è pure un po' una congrega di seguaci di Sylvia Plath! Andrò d'accordo con quest'album, che è già un bell'album di per sé. :ok:

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The Antlers - Hospice (2009)

Questo è un disco per farvi piacere. E non c'è nulla di male, in ciò.

In un fiume multiforme di invenzioni krauteggianti e psichedelicoidi, di solitamente insoliti deliri post-rock tortoisici, di rigurgiti {post[pre(shoegaze)]} rumorosi, benché un po' sterili (diciamocelo: un po' sterili), l'esordio di Peter Silberman e dei suoi The Antlers costituisce un'onda poco anomala e carezzevole di malinconica genuinità/genuina malinconia.

Arrivati al triste punto di dirittura finale di un'estate particolarmente calda, uno sente il bisogno di un qualcosa che suoni, al tatto, come un refrigerante bacio di innamorato che torna dall'abisso dei ricordi, materializzandosi tra le sinapsi. Eccolo: "Hospice" dei The Antlers. Per chi non ha un amore che consoli dal freddo di un Autunno che ancora non c'è (e che, proprio perché non c'è, fa sentire tutto il suo freddo), non c'è niente di meglio di questo disco; i cui solchi abbracciano tanto un pop da camera con voce e pianoforte in evidenza, nonché reminiscente dei singulti di Antony e dei suoi Johnsons, quanto vaste aperture di muri di suono che sembrano invocare "Spector delle mie brame". Il tutto prodotto certosinamente, dosando saggiamente suoni acustici ed elettronici e shoegazzando qua e là.

Se siete di quegli animali che si rotolano nel letto nottetempo, senza trovare ristoro al cuore infranto: sappiate che questo disco parla di voi.

Per chi porrebbe le non-fisiche pagine di Pitchfork su di un comodino immaginario, sotto un bicchiere nelle cui acque galleggi la dentiera del giorno prima (=nel posto che spetta di diritto alla Bibbia): è un "best new music". :)

mi hai incuriosito....vedrò di procurarmelo

edit: fatto, kettering mi garba pure molto :ok:

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Oi Va Voi - Laughter Through Tears

Oi+Va+Voi+-+Laughter+Thru+Tears+-.JPG

Quella degli Oi Va Voi è una sfida interessante quanto piena di insidie. L'idea di unire la tradizione "klezmer" (come dire la musica "soul" della cultura ebraica - col violino al posto dei fiati, beninteso) di quei musicisti erranti dell'Est europeo, con i più moderni ritmi "dance", potrebbe far storcere il naso ai puristi - appunto - della tradizione ed apparire per altri versi insipida agli amanti del trip-hop o dell'acid jazz. In effetti tale sfida sembra essere stata vinta dal sestetto londinese guidato dalla raffinata violinista Sophie Solomon e dal trombettista Lemez Lovas, poiché il disco ha suscitato notevole interesse, ottenendo parecchi consensi tra il pubblico e gli addetti ai lavori. La musica degli Oi Va Voi è particolarmente curata dal punto di vista degli arrangiamenti, ricca di suggestione: quello che viene perso del tipico pathos della musica "klezmer" è compensato da una ricchezza melodica e da una gamma di colori musicali davvero sorprendente

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album-no-balance-palace.jpg

Kashmir - No Balance Place (2005)

giudicato a suo tempo buono ma niente di più oggi mi son dovuto ricredere :ok:

non sarà a livello di Zitilites ma ha comunque dei gran bei pezzi, con sonorità "rock" belle tirate all'inizio e atmosfere più ricercate nella seconda parte

l'unica pecca è "the course of being a girl", troppo fiacca e vecchia per stare in questo album (e l'hanno pure scelta come primo singolo... :wacko: )

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