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Iosonouncane


TomThom

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9 hours ago, Gasba said:

Non darei troppo retta a questa gentaglia, Lac. L’ho sempre detto: la critica moderna ha fatto alla musica quel che il porno ha fatto alla fantasia sessuale. I ciritici sono strani voyeur, che stanno lì tutto il tempo a farsi le seghe con la pretesa che io trovi interessante il resoconto di ciò che vedono.
Gentaccia perversa... meglio evitare.

Ok, se il problema è terminologico va bene: IRA non è un capolavoro. Mi sta bene, figuriamoci. È un termine che uso con nonchalance visto che è ormai stra abusatissimo e ha perso ogni senso.
Però visto che siamo in mood vi rigiro la questione: allora neanche kid a e amnesiac sono capolavori.
Sono 5 ragazzi che, dopo un esordio mediocre ma fortunato, hanno ascoltato tonnellate di musica di gente avanti anni luce, e hanno saccheggiato a destra e a sinistra. Il risultato? Due album pop che sfoggiano una gran quantità di influenze colte, ma che risultano innovativi solo per chi non ha mai messo la testa fuori da mtv.
Perché la gente lo ascolta? Ad occhio e croce, penso, perché è musica meravigliosa, che provoca qualcosa di particolare e unico, che nessun altra musica, con quella specificità, è in grado di provocare. Un mix di ingredienti che ha dato vita a qualcosa che in un modo o nell’altro “funziona”. E kid A è al tempo stesso lansky, davis e aphex twin, senza essere effettivamente niente di questo. A prescindere da dove venga tutto ciò che c’è dentro, che sia pop sofisticato o sia roba tipo “famolo strano” solo per il gusto di farlo, ci sentiamo tranquillamente autorizzati a parlare di capolavoro.
Tra 100 anni, quando l’impatto innovativo sarà ormai storicizzato, se ascolteranno ancora kid A non è perché “wow, ai tempi è stato così innovativo”, ma perché continuerà a suscitare certe emozioni, certi specifici colori, che sono ascritti dal tempo, ed emozioneranno a profusione per sempre, come ora mi emoziona Frescobaldi.
Stesso valga per IRA: per me non è un calco dei succitati lavori, dirlo mi sembra pretestuoso. Sì, ci sono delle chiare influenze - come sono chiare le influenze dell’IDM su Kid A - ma non è la stessa roba ragazzi. Se poi ci mettiamo a vivisezionare ogni singolo pezzo, va bene, facciamolo, ma consapevoli che se dai a un uomo un martello vedrà solo chiodi. Se misuriamo IRA con l'unità di misura, cazzo ne so, dei Moderat, con la loro discografia, stai pur certo che tireremo fuori alcuni passaggi che ci somigliano, pur non essendo magari i Moderat degli effettivi riferimenti di IRA.
Sì, dentro ci sono i radiohead di 20 anni fa, questo è indubbio. Quindi? Dentro Kid A c’è roba di 30 anni prima.
Non dovremmo guardare il micro ma il macro, l’aura generale dell’opera. E a me pare proprio un altro tipo di ricerca, un altro tipo di intenzione, un altro tipo di coerenza interna, non possiamo prendere e buttare tutto in un unico calderone solo perché ci sono sonorità comuni. E infatti anche la critica è impantanata in questa melma e non ne usciranno mai, sempre con l’ansia di dover trovare una pietra di paragone per dare una definizione che, alla fine della fiera, possiamo sbatterci sul pipino.

Concordo con te @modifiedbear quando dici che IRA ci piace da 20 anni, ma io do un'accezione positiva alla cosa: quell'album che avevi sulla punta della lingua ma nessuno ancora aveva detto, e ora si è realizzato. Come se l'avessi aspettato da sempre, e ora so dove trovarlo.

Io ho ascoltato tante cose simili ad IRA, è vero, ma mai niente come IRA. Non capisco i discorsi tipo “se cerco le scale arabe ascolto i pink floyd” come se un unico elemento comune li rendesse interscambiabili. È come dire non leggo Poe perché se voglio angosciarmi vado su Baudelaire... Ma Baudelaire non è Poe, come IRA non è Kid A. Fanno parte della stessa grande famiglia, ma hanno da offrire cose ben diverse.
A me l'influenza più immediata sembra essere proprio DIE: IRA è una specie di estremizzazione di alcune intuizioni di brani come Tanca, una naturale evoluzione (al nero).
Non penso sia un album che voglia colpire per la sua innovatività. Non vuole rivoluzionare niente, vuole solo dire (o disdire) qualcosa.
Accentrare le questione sull’innovazione rischia di farci perdere questo qualcosa. Tutto ciò che riguarda l’innovazione di massa è necessariamente legato alle mode; tutto ciò che riguarda lo spirito è invece eterno, e non sarà mai “demodé”. IRA sta più da queste parti.

A me la proposta di Incani ha convinto pienamente, era a un passo dall'esagerare ma è riuscito a fermarsi in quel punto in cui è difficilissimo fermarsi, a un passo dal patatrac. Un tendere verso il nulla, una voglia di nulla che si traduce nel massimo della pienezza, della saturazione. Un muro di suono dentro il quale nascondersi, a protezione dal silenzio assoluto.

Post semplicemente perfetto.

Mi ritrovo inoltre perfettamente con la parte in grassetto: IRA è il disco che ho sempre sognato di avere per le mani ma che nessuno aveva ancora fatto. Forse il mio prototipo di disco perfetto, quello che ha meglio sintetizzato le mie inclinazioni, i miei gusti e soprattutto le emozioni che mi piace provare mentre ascolto musica. IRA è ricercato e brutale allo stesso tempo, è emozione pura, è suono d'ambiente e nello stesso tempo percussionismo selvaggio, è rito sciamanico e delicatezza cantautoriale. Non avrei saputo esprimerlo meglio di come hai fatto tu: "l'ho aspettato da sempre ed ora so come trovarlo".

 

Esatto, lo spirito è eterno ed è quello che conta. L'arte non andrebbe mai parametrata in maniera esclusivamente critico-storiografica anche perché non c'è nulla di automaticamente nobile nell'innovare, quello che conta è l'espressione, la profondità, la capacità di trasmettere. Chiaramente con creatività, con personalità ed anche con coraggio se possibile ma di per sé "innovare" non è un parametro qualitativo.

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Sono interamente d'accordo su tutta la linea.
Che IRA ci piaccia da 20 anni non è di per sé un male. Mi interrogavo sul significato che darei alla parola "capolavoro", domandandomi se e in che modo potrebbe spettare a questo disco.
Ma sono in una fase di rielaborazione completa del mio concetto di linguaggio, vallo a sapere cos'è un capolavoro.

Probabilmente anche la nozione di "nuovo" ed "innovazione" non è che una faccenda metafisica, dal momento in cui banalmente nulla si crea ma tutto si trasforma – e sono d'accordo: nulla di peggio o di più farlocco della rincorsa alla presunta "novità".
Cos'è "creativo"?
L'unico evento possibile è quello dell'intenzione, l'atto d'amore del trasformare ciò che è e che è già stato all'immagine della propria anima.

Personalmente, qualsiasi sia la questione torno sempre alla stessa conclusione: sì pisello, no cervello.

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@Gasba  @echoes @modifiedbear

Mi sa che siamo tutti d'accordo :beer: :sm_beer2:

Cioè io volevo sentire proprio questo tipo di riflessioni, perché Ira aveva lo scopo di alzare questo bel polverone.

Detto questo, avevo dimenticato un altro autore italiano che ha abbracciato il multilinguismo: Francesco Bianconi dei Baustelle nel suo primo disco solista Forever In Technicolor ha cantato canzoni in italiano, inglese, arabo e francese.

Anche in questo caso tutto frettolosamente liquidato dalla critica...vabbe' 

 

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Volevo solo dire che grazie alla conversazione di questi giorni in questo tread mi avete fatto venire voglia di iscrivermi. E faccio parte di una generazione che i blog e i forum non sanno manco cosa sono. Detto questo, complimenti per argomentazioni e la discussioni al riguardo, c'è parecchia ciccia in quello che scrivete. 

Domanda: ma forse, in generale si tende a considerare la musica come un'arte semplice? E questo porta ormai a non dare più il peso giusto alle uscite che meritano un determinato peso? Come dite voi, questa è un'uscita che poteva un anno fa stimolare diverse riflessioni e suggestioni riguardo parecchie cose, non solo di stato del mercato o del percorso di un artista, ma anche del ruolo dell'ascoltatore (medio) riguardo la musica, dove in questo caso non si può essere passivi con IRA ma bensì molto attivi. E invece tutto passa molto velocemente, senza che si crei il tempo di far diventare un'opera qualcosa di epocale, che rimanga nella memoria (per evento in se, o per la musica, o per strategie di pubblicazioni, o per mille motivi che già sappiamo). Ok, avete detto già tutto della velocità di fruizione, delle recensioni scritte dopo un ascolto, del fatto che si dica subito CAPOLAVORO o merda . Però la domanda di base rimane quella iniziale: la musica è diventata col tempo una cosa molto semplice, fruibile? E nel momento in cui ci sono varie correnti innovative o ben più articolate, diventano di nicchia? O è sempre stato così? 

P

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14 minutes ago, Snare808 said:

Volevo solo dire che grazie alla conversazione di questi giorni in questo tread mi avete fatto venire voglia di iscrivermi. E faccio parte di una generazione che i blog e i forum non sanno manco cosa sono. Detto questo, complimenti per argomentazioni e la discussioni al riguardo, c'è parecchia ciccia in quello che scrivete. 

Domanda: ma forse, in generale si tende a considerare la musica come un'arte semplice? E questo porta ormai a non dare più il peso giusto alle uscite che meritano un determinato peso? Come dite voi, questa è un'uscita che poteva un anno fa stimolare diverse riflessioni e suggestioni riguardo parecchie cose, non solo di stato del mercato o del percorso di un artista, ma anche del ruolo dell'ascoltatore (medio) riguardo la musica, dove in questo caso non si può essere passivi con IRA ma bensì molto attivi. E invece tutto passa molto velocemente, senza che si crei il tempo di far diventare un'opera qualcosa di epocale, che rimanga nella memoria (per evento in se, o per la musica, o per strategie di pubblicazioni, o per mille motivi che già sappiamo). Ok, avete detto già tutto della velocità di fruizione, delle recensioni scritte dopo un ascolto, del fatto che si dica subito CAPOLAVORO o merda . Però la domanda di base rimane quella iniziale: la musica è diventata col tempo una cosa molto semplice, fruibile? E nel momento in cui ci sono varie correnti innovative o ben più articolate, diventano di nicchia? O è sempre stato così? 

P

Innanzi tutto benvenuto e complimenti per il nome che ti sei scelto :music: 

La mia riposta: è sempre stato così. Però, come hanno sottolineato anche altri ci sono stati periodi in cui il mainstream ha attinto a piene mani dall'underground. Ci sono stati periodi in cui artisti mainstream come i Beatles, arrivavano a fare un disco con dentro un pezzo di musica indiana e un'anticipazione del big beat anni '90. Mentre oggi accade il contrario: artisti originariamente underground nel corso del tempo tendono a "mainstreamizzarzi". Per esempio i Tame Impala, o in Italia i Thegiornalisti. 

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10 hours ago, MyIronAlien said:

Ma il volume del concerto è davvero così tanto forte? Forse riesco ad andare a vederlo a Torino ma ho già un udito un po' rovinato non vorrei avere problemi

No, almeno all'Auditorium era a volumi normalissimi ed io ero in settima fila. 

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12 hours ago, Snare808 said:

Volevo solo dire che grazie alla conversazione di questi giorni in questo tread mi avete fatto venire voglia di iscrivermi. E faccio parte di una generazione che i blog e i forum non sanno manco cosa sono. Detto questo, complimenti per argomentazioni e la discussioni al riguardo, c'è parecchia ciccia in quello che scrivete. 

Domanda: ma forse, in generale si tende a considerare la musica come un'arte semplice? E questo porta ormai a non dare più il peso giusto alle uscite che meritano un determinato peso? Come dite voi, questa è un'uscita che poteva un anno fa stimolare diverse riflessioni e suggestioni riguardo parecchie cose, non solo di stato del mercato o del percorso di un artista, ma anche del ruolo dell'ascoltatore (medio) riguardo la musica, dove in questo caso non si può essere passivi con IRA ma bensì molto attivi. E invece tutto passa molto velocemente, senza che si crei il tempo di far diventare un'opera qualcosa di epocale, che rimanga nella memoria (per evento in se, o per la musica, o per strategie di pubblicazioni, o per mille motivi che già sappiamo). Ok, avete detto già tutto della velocità di fruizione, delle recensioni scritte dopo un ascolto, del fatto che si dica subito CAPOLAVORO o merda . Però la domanda di base rimane quella iniziale: la musica è diventata col tempo una cosa molto semplice, fruibile? E nel momento in cui ci sono varie correnti innovative o ben più articolate, diventano di nicchia? O è sempre stato così? 

P

Benvenuto! Ormai vedere nuovi iscritti qui è una rarità, penso fossero anni che non se ne vedeva uno.

Per rispondere alla tua domanda: secondo me non è un discorso limitato alla musica ma ormai esteso a qualsiasi forma d'arte. Si tende a considerare tutto come un prodotto di consumo usa e getta perché siamo sommersi di stimoli e dominati dalla velocità più assoluta quindi non c'è tempo di assimilare che subito si passa al prodotto confezionato successivo. Un tempo ti facevi bastare una musicassetta o un disco per un intero anno spesso mettendo su solo quello, ora la modalità di fruizione è totalmente cambiata e ascolti playlist decise da un algoritmo di cui non resta nulla. Chiaramente ogni utente può decidere di fermarsi su un prodotto artistico per più tempo ma è proprio la fruizione collettiva ad essere cambiata anche perché, come diceva @pandroid, prima c'era un collo di bottiglia che nel bene e nel male filtrava e selezionava mentre oggi teoricamente sei libero di muoverti in uno spazio infinito che si estende in ogni direzione con il risultato che vai ovunque e in nessun luogo senza una direzione.

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lancio una provocazione: nonostante l'offerta infinita non credete che in fondo la scelta sia molto "meno libera" di prima?

(algoritmi e bla bla alla fine ci chiudono, volente o nolente, in una nicchia "stagna")

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3 minutes ago, @li said:

lancio una provocazione: nonostante l'offerta infinita non credete che in fondo la scelta sia molto "meno libera" di prima?

(algoritmi e bla bla alla fine ci chiudono, volente o nolente, in una nicchia "stagna")

Ovvio ma semplicemente perché in realtà non è un una scelta consapevole ma una sorta di passiva percezione di quello che ti passa davanti e che ti propone una macchina. Un tempo ascoltare "Radio Rock" significava assorbire la proposta di un selezionatore ma che la offriva con una base di consapevolezza e conoscenza che anche l'utente era capace di assorbire e metabolizzare comprendendone le differenze ed arrivando poi ad una "scelta" consapevole seppure guidata. Oggi fatico a credere che le nuove generazioni nutrite con Spotify capiscano cosa stanno ascoltando, dopodiché va anche detto che la fruizione della musica come intrattenimento è sempre esistita ma, appunto, prima le categorie erano più distinte e distinguibili mentre oggi è tutto un grande calderone che bombarda l'utente.

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15 hours ago, Snare808 said:

Volevo solo dire che grazie alla conversazione di questi giorni in questo tread mi avete fatto venire voglia di iscrivermi. E faccio parte di una generazione che i blog e i forum non sanno manco cosa sono. Detto questo, complimenti per argomentazioni e la discussioni al riguardo, c'è parecchia ciccia in quello che scrivete. 

Domanda: ma forse, in generale si tende a considerare la musica come un'arte semplice? E questo porta ormai a non dare più il peso giusto alle uscite che meritano un determinato peso? Come dite voi, questa è un'uscita che poteva un anno fa stimolare diverse riflessioni e suggestioni riguardo parecchie cose, non solo di stato del mercato o del percorso di un artista, ma anche del ruolo dell'ascoltatore (medio) riguardo la musica, dove in questo caso non si può essere passivi con IRA ma bensì molto attivi. E invece tutto passa molto velocemente, senza che si crei il tempo di far diventare un'opera qualcosa di epocale, che rimanga nella memoria (per evento in se, o per la musica, o per strategie di pubblicazioni, o per mille motivi che già sappiamo). Ok, avete detto già tutto della velocità di fruizione, delle recensioni scritte dopo un ascolto, del fatto che si dica subito CAPOLAVORO o merda . Però la domanda di base rimane quella iniziale: la musica è diventata col tempo una cosa molto semplice, fruibile? E nel momento in cui ci sono varie correnti innovative o ben più articolate, diventano di nicchia? O è sempre stato così? 

P

benvenuto e complimenti per la foto

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5 hours ago, @li said:

lancio una provocazione: nonostante l'offerta infinita non credete che in fondo la scelta sia molto "meno libera" di prima?

(algoritmi e bla bla alla fine ci chiudono, volente o nolente, in una nicchia "stagna")

È assolutamente la realtà dei fatti. Il modus operandi è quello di rendere l’utente parte sempre meno attiva e lascia che l’algoritmo decida per noi. La vera ricerca consiste nel cercare più fonti possibili e ascoltare. La cosa indubbia è che a volte l’algoritmo sceglie per noi qualcosa, ce la fa scoprire, e indovina sul serio. Ma fondamentalmente accettiamo sempre di più in modo passivo. Questo si riflette anche nella vita, come individui siamo parte passiva anche nella società, nelle scelte, nelle relazioni, nella politica. 
 

quindi la tua provocazione è assolutamente legittima e da ottimi spunti di riflessione. 
 

benvenuto al nuovo utente, è bello sapere che ogni tanto qualcuno si iscrive in questo ultimo baluardo di ciò che è stata l’era dei forum, blog e quant’altro. 

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Ma quindi alla fine di tutto questo dovremo essere grati ad un artista come Jacopo. Che si mette in gioco cercando di dire e raccontare qualcosa attraverso la propria arte. E con la propria arte stimola anche l'ascoltatore. Almeno, per me è molto stimolante un disco come IRA (così come lo è stato e lo è tutt'ora DIE, ma così come lo sono molti altri dischi o film o libri o opere di altre arti che tendono a lasciarmi dentro pensieri e riflessioni che maturano col tempo). Cioè, poi si può parlare benissimo delle scelte artistiche, delle svolte e di quello che ha mantenuto, della ricercata incomunicabilità anche col proprio pubblico, dell'essere così schivo in un mondo in cui schivo non dovresti esserlo. Però averne al giorno d'oggi dischi come IRA. Averne di artisti come Jacopo. Poi sì, mi potete dire che c'è sicuramente nell'underground più underground gente che è altrettanto validità, però io mi guardo intorno - sono un musico dilettante nel mio piccolo pure io e bazzico nella scena del mio territorio - e mi sembra di base questo: ci sono poche idee e pochi concetti portati avanti. È tutto veramente molto più superficiale, anche da parte di chi scrive. E quindi sì, 

3 hours ago, principles said:

fondamentalmente accettiamo sempre di più in modo passivo. Questo si riflette anche nella vita, come individui siamo parte passiva anche nella società, nelle scelte, nelle relazioni, nella politica.

è così. Ci si è disimpegnati non solo nell'ascoltare, ma anche chi scrive si è disimpegnato. Accettando, esempio, un film di Bergman come difficile e apprezzandolo solo perché sai che l'autore è un caposaldo del cinema. Senza poi riflettere su ciò che hai visto in seconda battuta. 

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1 hour ago, Snare808 said:

 

è così. Ci si è disimpegnati non solo nell'ascoltare, ma anche chi scrive si è disimpegnato. Accettando, esempio, un film di Bergman come difficile e apprezzandolo solo perché sai che l'autore è un caposaldo del cinema. Senza poi riflettere su ciò che hai visto in seconda battuta. 

Io che sono della “vecchia guardia” noto davvero molta superficialità, ma non solo nei confronti della musica in generale (e delle altre arti) ma anche nei confronti di ciò che sono le nostre “cose preferite”. Che poi era un po’ il discorso che provava a fare @lacatus.

io sono cresciuta in un periodo in cui diventavi gioco forza ossessiva (se avevi uno/due Cd da ascoltare finivi per conoscerne anche le pause a memoria). E questa cosa mi è rimasta: se una cosa mi piace la consumo, la viviseziono, devo sapere tutto (testi, retroscena, vita morte e miracoli nel caso della musica). Anche oggi nonostante l’iperofferta infatti resto molto molto selettiva perche per me nn esiste sentire un disco dire capolavoro e dimenticarlo. Come minimo se penso sia tale diventa la mia “mania” per qualche mese. Tutto sommato sono contenta di continuare a farlo anche oggi quando tutto spingerebbe all’usa e getta.

 

ah comunque benvenuto :)

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14 hours ago, @li said:

io sono cresciuta in un periodo in cui diventavi gioco forza ossessiva [...] e questa cosa mi è rimasta.


Idem per me – cresciuto all'epoca prima delle cassette e dei vinili poi dei CD ascoltati fino alla nausea, e la cosa mi è rimasta: o un disco diventa una fissa e ne abuso al microscopio tutti i giorni come minimo per settimane, o non è un disco che fa per me.
Però dev'essere più una questione di postura genetica. La maggior parte degli amici della "vecchia guardia", pure musicisti e cresciuti con lo stessa abitudine, quest'ultima non l'hanno mantenuta e si trovano più a loro agio nell'ascolto psicotico e disparato.
E ogni tanto li invidio: più che un utilizzo "usa e getta" della musica (tipico perlopiù dei cretini destinati al nulla) il loro lo definirei un ascolto canguresco del tipo "usa, dimentica e riusa".
Il saper attingere da un caleidoscopio di stimoli differenti piuttosto che focalizzarsi su un solo colore e una sola forma alla volta la trovo molto interessante, come attitudine.

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Si anche io in un certo senso invidio chi riesce a farlo perché alla fine ascolta molte più cose di quanto faccia io. Però non credo che farei cambio con la conoscenza enciclopedica di autori, registi, band che deriva dalle mie monomanie alcune periodiche, altre molto più perduranti.

 

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On 4/15/2022 at 10:17 AM, modifiedbear said:


L'unico evento possibile è quello dell'intenzione, l'atto d'amore del trasformare ciò che è e che è già stato all'immagine della propria anima.
 

Sono d'accordo, forse perché sposo la prospettiva del "creatore", più che quella del critico. Secondo me spesso noi "ascoltatori", nel cercare criteri per inquadrare un'opera, ci rivolgiamo a criteri più o meno acquisiti. Il "problema" è che pensiamo che questi stessi criteri di inquadramento abbiano in qualche modo influenzato anche l'autore. Quando in realtà un conto è fare qualcosa, un conto è "fruirlo". per questo molto spesso l'artista ha una visione molto diversa rispetto al pubblico di un lavoro da lui fatto e di come viene inquadrato. 

Alla fine l'arte è mezzo espressivo di sé - passatemi la banalità - e l'autore la vedrà sempre cosi. Invece noi, senza alcuna colpa, perchè è un meccanismo inconscio derivato dal fatto che noi siamo fruitori e non creatori, pensiamo che un autore si metta a scrivere qualcosa pensando a come questa si posizionerà in un determinato contesto. Cosa che invece accade dopo e senza che l'artista possa farci nulla - e il più delle volte, se è genuino, manco se ne interessa. Se invece vende un prodotto, altro discorso...ma questo sarebbe un discorso lunghissimo - , dopo che altri hanno recepito - a modo loro, ed è questo il bello - il suo lavoro. Alla fine credo che l'arte, salvo rari casi, sia una grandissimo atto di condivisione. 

Insomma, tutto questo per dire che uno che crea pensa "a sè" - spesso, almeno - e a cosa vuole dire, quello che viene dopo è fuori dal suo controllo e sgorga più o meno naturalmente. Sono due parti dello stesso gioco. 

***

Però non posso nemmeno definire con eccessivo disvalore la prospettiva del pubblico o della critica. Per il discorso scritto prima, è chiaro che anche questi hanno le loro chiavi interpretative - ed è per questo che spesso incontrare l'artista che ha creato qualcosa è spesso esaltante e deludente allo stesso tempo. Una di queste chiavi può essere anche quella storiografica/oggettiva, in cui si inquadra il lavoro nel grande fiume delle opere passate. Questo può servire come ancora sia al pubblico che alla critica, e non ci vedo nulla di male in questo. In fondo un critico deve fare un'opera difficilissima, che non è semplicemente "dire la sua" e spiegare se un disco gli è piaciuto o meno - cosa già difficile di suo, perchè come diceva Zappa, parlare di musica è....completate voi la cit, - ma deve anche cercare di dargli un minimo di inquadramento, anche per aiutare il pubblico. Se la critica diventa un mero mi piace per questo, quello e quell'altro, diventa autoreferenzialità. 

Inoltre penso che si, nell'arte il criterio dell'espressione debba valere supra quasi tutto, ma non nascondiamoci: quanti dischi anche di tanti anni fa - ormai perfettamente storicizzati - abbiamo ascoltato perchè ne è stato data una posizione di relvanza dal punto di vista storiografico?

 

Sono valori/opinioni che servono entrambi, esattamente come servono sia cervello che pisello nella vita. 

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On 4/16/2022 at 8:19 PM, @li said:

io sono cresciuta in un periodo in cui diventavi gioco forza ossessiva (se avevi uno/due Cd da ascoltare finivi per conoscerne anche le pause a memoria). E questa cosa mi è rimasta: se una cosa mi piace la consumo, la viviseziono, devo sapere tutto (testi, retroscena, vita morte e miracoli nel caso della musica). 

 

Io sto cercando di (ri)diventarlo. 

- e portare questo tipo di fruizione anche nel mio piccolo anfratto di "critico" su kalporz. 

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On 4/16/2022 at 10:13 AM, @li said:

lancio una provocazione: nonostante l'offerta infinita non credete che in fondo la scelta sia molto "meno libera" di prima?

(algoritmi e bla bla alla fine ci chiudono, volente o nolente, in una nicchia "stagna")

Non lo so, alla fine anche una volta uno seguiva i suoi filoni. Però certo, forse si è persa la volontà di esplorare, ma non è un limite o una colpa: c'è troppa roba, e sopratutto il nostro cervello è continuamente stimolato - questo direi, sopratutto, è proprio un meccanismo su cui si basano molte cose oggi, secondo me - e quindi è quasi una difesa, ripiegarsi. Perchè non c'è il tempo, non c'è la capacità fisica di ascoltare tutto. Eppure vorremmo - perche siamo appassionati: da questo secondo me nasce un'esperienza d'ascolto funzionale ai tempi ma forse, sotto sotto, frustrante. 

(Dico questo però premettendo che non è che la capacità e quindi il tempo assimilativo di un'opera si uguale per tutti)

Il discorso algoritmi è  un altro livello di quello che pensiamo di volere di questi tempi: la comodità ad ogni costo. E quindi si, la scelta è meno libera: perchè un po' tutto quello che viene dalla comodità, di fondo e sotto sotto, ti rende più frustrato e meno libero (questa è una mia personale convinzione che ho appreso da poco. opinabile, ovviamente). Il fatto poi che l'algoritmo ti piazza li delle cose senza che tu faccia fatica - neanche intellettuale, ma nemmeno fisica - secondo sviluppa il processo di dipendenza alla fretta d'ascolto.

Secondo me più che ascoltatori, siamo tossici

***

Questo senza dire "ah, ma ai miei tempi che bello che era, eh

 

 

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On 4/17/2022 at 11:45 AM, modifiedbear said:



E ogni tanto li invidio: più che un utilizzo "usa e getta" della musica (tipico perlopiù dei cretini destinati al nulla) il loro lo definirei un ascolto canguresco del tipo "usa, dimentica e riusa".
Il saper attingere da un caleidoscopio di stimoli differenti piuttosto che focalizzarsi su un solo colore e una sola forma alla volta la trovo molto interessante, come attitudine.

Anche questo è vero.  Non diamone solo aspetti negativi. diventa stimolante anche creativamente. Poi non tutti hanno gli stessi tempi per farsi piacere o meno un'opera.

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Riascoltando di fila Ira e Die ci si accorge che sono due dischi completamente diversi, anche nell'approccio compositivo. 

Per esempio, una caratteristica che avevo notato immediatamente è che molte canzoni di Ira hanno uno schema A-B: c'è una prima parte con la sua struttura, alla quale poi segue una lunga coda, solitamente talmente lunga da occupare tutta la seconda metà del brano, come se fossero due canzoni diverse saldate in una, senza che poi ritorni il tema A. Solitamente ciascuna delle parti A e B ripete più volte un unico frammento melodico, come una specie di mantra. 

Analizzando le strutture di Die risulta che:

Tanca ha una sua struttura A ("spoglie le rive, il sole...")  B ("nel morso di un dolore")-A-B-C (coda). Abbastanza simile alle strutture tipiche di Ira, in quanto dopo C non c'è un ritorno al tema iniziale A-B.

Stormi ha praticamente una struttura A-B-B-C-D-A con almeno 4 melodie diverse, su un giro di accordi più o meno simile in tutta la canzone, con un hook che si ripete nell'intro e nell'outro.

Buio sono 4 blocchi diversi: A (la lunga intro con l'arpeggio di chitarra) B ("ero io...") C ("anche tu sei la pietra..."), B - C - D - E (la lunga coda con la chitarra di Paolo Angeli e il canto polifonico sardo). Una struttura complessissima piena di melodie che non c'è in nessun brano di Ira. 

Carne ha come Stormi e più avanti Mandria una struttura a specchio A (intro) -B ("dopo il coro...") - B-C ("batte scirocco...") D-B-C-D-A (outro)

Paesaggio, ancora più di Tanca riprende lo stile di Ira, con la struttura  A ("e viene inverno...") -B-C. Non c'è quindi un ritorno dal tema A, ma tramite B che è una sorta di modulazione strumentale, si arriva a C che è la coda che fa da ponte per il brano successivo.  

Mandria ha come Stormi e Carne una struttura specchio A-B (il lungo interludio strumentale)-A. Se fosse stata in Ira non ci sarebbe stata la ripresa di A e sarebbe terminata con il lungo interludio strumentale, per esempio come accade in Hajar.

C'è da sottolineare ancora una volta che in Die ciascuno di questi moduli A-B-C-ecc... è melodicamente molto ricco, mentre in Ira, Iosonouncane si limita a ripete ciclicamente lo stesso frammento melodico: per esempio in Horizon tutta la sezione A (che dura 1 minuto) non è altro che la ripetizione per quattro volte della stessa melodia ("how long por el ciudad seen...") e tutta la sezione B (che dura 3 minuti e mezzo) ripete quattro volta un altra melodia ("risen to shine...").
Le melodie A e B di Horizon poi coincidono anche col testo, per cui alla ripetizione della melodia c'è anche una ripetizione del testo.  Di fatto il testo di Horizon è sintetizzabile in questi versi: 

How long por el ciudad seen?
Rising el rajul oublié

Risen to shine
Risen to shine
Fed la baleine
Chassé la baleine

Siamo lontani anni luce dal tipo di lavoro melodico e di liriche che c'è in Die. 

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