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Ateismo / Agnosticismo


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Vabbè io non generalizzerei. Tipo prendo come esempio mio fratello di 12 anni: è vero che un super patito di PSP-Nintendo DS-PS3 etc., ma è anche vero che domenica scorsa ha vinto con la sua squadra il primo trofeo importante della sua vita facendo allenamento 5 giorni su 7 OGNI settimana (a differenza di quanto facevo io :laugh:). Dipende.

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Vabbè io non generalizzerei. Tipo prendo come esempio mio fratello di 12 anni: è vero che un super patito di PSP-Nintendo DS-PS3 etc., ma è anche vero che domenica scorsa ha vinto con la sua squadra il primo trofeo importante della sua vita facendo allenamento 5 giorni su 7 OGNI settimana (a differenza di quanto facevo io :laugh:). Dipende.

dai! troppo forte! :clapclap:

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Vabbè io non generalizzerei. Tipo prendo come esempio mio fratello di 12 anni: è vero che un super patito di PSP-Nintendo DS-PS3 etc., ma è anche vero che domenica scorsa ha vinto con la sua squadra il primo trofeo importante della sua vita facendo allenamento 5 giorni su 7 OGNI settimana (a differenza di quanto facevo io :laugh:). Dipende.

ma appunto, anche la psp è uno strumento... ognuno deve avere il cazzo di diritto di farci quello che gli pare, se è una persona formata per comprendere il concetto di misura capirà da sé tutto il resto :P

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Tornando al topic: sono atea.

Tornando alla discussione recente: sono anche genitore di 2 ragazzi ora grandi ma cresciuti con la tecnologia e la palla, la piscina e il mare, la montagna e i prati, le mollette da bucato come gioco e i palloncini, tanti libri ma anche tanti cartoni animati, le collezioni di minerali e le sorpresine dell'uovo Kinder....i genitori offrono gli strumenti, l'uso che ne fanno i figli è dato dall'esempio degli adulti quando son piccolissimi.Dopo non sarei così drastica nel colpevolizzare mamy e papy e giudicare il comportamento dei ragazzini di oggi da una festa di comunione secondo me è un poco avventato, le variabili sono molte: la noia dell'evento, il luogo e la panza piena di confetti!!!

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Tornando al topic: sono atea.

Tornando alla discussione recente: sono anche genitore di 2 ragazzi ora grandi ma cresciuti con la tecnologia e la palla, la piscina e il mare, la montagna e i prati, le mollette da bucato come gioco e i palloncini, tanti libri ma anche tanti cartoni animati, le collezioni di minerali e le sorpresine dell'uovo Kinder....i genitori offrono gli strumenti, l'uso che ne fanno i figli è dato dall'esempio degli adulti quando son piccolissimi.Dopo non sarei così drastica nel colpevolizzare mamy e papy e giudicare il comportamento dei ragazzini di oggi da una festa di comunione secondo me è un poco avventato, le variabili sono molte: la noia dell'evento, il luogo e la panza piena di confetti!!!

Semplicemente erano viziati. I bambini quando vedono altri bambini non si rifiutano di giocare con loro snobbandoli.

I genitori pure non volevano che stessero con altri bambini. Da ciò ho dedotto che la colpa fosse loro.

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  • 2 weeks later...

http://video.repubbl...ta/100085/98464

fanno davvero tenerezza le dichiarazioni del prete che tenta di smontare l'ateismo cercando di sostenere l'esistenza dell'aldilà attraverso argomentazioni "etiche". D'altra parte la Hack non dice nulla per smascherare l'illogicità e la vuotezza di senso dei discorsi del religioso secondo il quale deve per forza esistere una dimensione ultraterrena perchè la felicità terrena non basta a soddisfare tutti. "Che cosa ci starebbero a fare i poveracci in questo mondo?" si chiede il prete, domandandosi poi retoricamente se dal punto di vista della prospettiva che nega un aldilà sarebbe stato forse meglio se essi non fossero mai nati.

Non è solo questione di far notare come l'esigenza di qualcosa non implichi affatto l'esistenza della cosa desiserata e che molto spesso anzi vi è la tendenza ad illudersi che una cosa esista proprio perchè il desiderio che esista è così forte che non si finisce per non distinguere più il piano della realtà da quello dell'immaginazione in cui si dispiega l'intreccio delle nostre proiezioni. Non è solo questo che mi rende perplesso ma è anche il tipo di valutazione morale che sta dietro ai ragionamenti espressi dal religioso. Lui è in un certo senso vincolato a credere ad un principio trascendente perchè dal suo punto di vista una vita vissuta nel limitato arco temporale concesso dalla vita biologica condurrebbe alla disperazione. Il nichilismo, contrariamente a quanto si è portati a ritenere, è frutto di una disillusione che ha luogo in un contesto nel quale il valore della propria vita è stato identificato con qualcosa che poi si è dimostrato non esistente. Da questo punto di vista l'ateo è in linea di principio immune dal nichilismo poichè i suoi valori di riferimento sono sorti nell'ambito della vita terrena, sono intrinsecamente privi di una componente assoluta senza essere necessariamente futili come alcuni credenti integralisti insinuano: voler bene ad una persona e aiutare chi è in difficoltà, ad esempio sono pratiche che gli atei condividono con chi è religioso e anche se forse i motivi che ispirano molte pratiche comuni non sono gli stessi, poco male (occhio non vede, cuore non duole). Il conduttore della trasmissione poi si meraviglia che la Hack non si dimostri addolorata e delusa per il fatto di non credere all'esistenza del paradiso. Ma come potrebbe essere addolorata per il fatto di non credere a qualcosa a cui non aveva mai creduto? La delusione è logicamente connessa alla scoperta che qualcosa che si credeva esistente poi si è rivelato inesistente. Così, se sono nel deserto e credo che laggiù ci sia dell'acqua ma poi realizzo che si è trattato di una illusione ottica, è ovvio che ci rimango male e provo dolore per questo. Ma se ho imparato a costruirmi una vita su basi che non prevedono qualcosa di sovrannaturale che indirizzi la mia azione non posso soffrire per il fatto di non crederci, sono in un certo senso al riparo da cadute rovinose vista la mia aderenza al "terreno". Certo, non si può negare che i sofferenti e i poveri di questo mondo siano un po' meno sofferenti se hanno la possibilità di credere all'aldilà come luogo consolatorio, anche se ritengo che ne sentirebbero meno l'esigenza se cominciassero a stare meglio ora, nel mondo terreno. La religione tenta di giustificare la presenza della sofferenza postulando l'esistenza di un luogo dove avverrà una ricompensa proporzionale ai torti subiti ma questa operazione è pericolosamente connessa con l'idea che in fondo intervenire nella vita terrena per alleviare la sofferenza non sia poi una questione così fondamentale. Dal mio punto di vista la domanda retorica attraverso cui il prete vuol far passare l'idea che da un punto di vista ateo sarebbe stato meglio per i sofferenti se non fossero mai nati nasconde un fraintendimento del senso che la vita può assumere nella prospettiva di un ateo dotato di principi morali. L'ateo, pur non garantendo un senso che giustifica la sofferenza non è per questo privo di strumenti per combatterla e di fronte ad una vita sofferente non scrolla semplicemente le spalle pensando in cuor suo che quella vita sia da buttare(o che sarebbe stato meglio se non fosse mai stata vissuta): i suoi strumenti però sono quelli reali e consistono nella medicina e nella solidarietà fra persone concrete mentre non prevedono l'adozione sistematica di pratiche consolatorie che trattano la sofferenza come una cambiale per il paradiso o, peggio, come il mezzo di espiazione di peccati gravi che sono stati commessi da una umanità peccatrice.

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Ho un profondo richiamo mistico interiore che però non riesco a incanalare in una religione e quindi, per non ricadere in un panteismo filo orientale piuttosto confusionario e poco rispettoso nei confronti di chi impone a se stesso dogmi in cui crede fermamente, mi crogiolo in un agnosticismo che posso ancora giustificare con la mia giovane età.

Spero però di poter avere più ragioni, anche solo per professarmi atea.

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Ho un profondo richiamo mistico interiore che però non riesco a incanalare in una religione e quindi, per non ricadere in un panteismo filo orientale piuttosto confusionario e poco rispettoso nei confronti di chi impone a se stesso dogmi in cui crede fermamente, mi crogiolo in un agnosticismo che posso ancora giustificare con la mia giovane età.

Spero però di poter avere più ragioni, anche solo per professarmi atea.

Disse Franka Battiata. :clapclap:

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Ho un profondo richiamo mistico interiore che però non riesco a incanalare in una religione e quindi, per non ricadere in un panteismo filo orientale piuttosto confusionario e poco rispettoso nei confronti di chi impone a se stesso dogmi in cui crede fermamente, mi crogiolo in un agnosticismo che posso ancora giustificare con la mia giovane età.

Spero però di poter avere più ragioni, anche solo per professarmi atea.

il fatto è che non troverai mai "ragioni" per professarti atea. La scelta fra esistenza e non esistenza di dio non può essere affermata a partire da ragioni che possano farti propendere per l'uno o per l'altro corno del dilemma se non altro perchè dimostrare che qualcosa non esiste non fa parte della grammatica del nostro linguaggio. Attraverso il linguaggio, piuttosto, discorriamo attorno a cose la cui esistenza è una specie di condizione necessaria per garantire un significato a ciò che di esse diciamo.

Dire di provare un richiamo mistico è una cosa diversa rispetto ad affermare l'esistenza di qualcosa di "oggettivamente" mistico: l'esperienza del senso di colpa che tutti noi possiamo in linea di principio provare non necessita affatto che esista una colpa che prescinda dalle pratiche di giustificazione sociale da cui essa trae il suo significato. Il senso di colpa non implica dunque che una colpa reale esista, laddove "reale" significa svincolato dall'insieme delle regole sociali che adottiamo nel nostro comportamento.

Se sei in grado di dare senso alla tua esistenza senza l'appello ad elementi sovrannaturali non ha più senso nemmeno chiedersi se esista o non esista dio. Dire di credere che non esiste sarebbe superfluo come dire che non crediamo esista una tazza di porcellana che ruota attorno a Saturno. Ciò non significa appunto dimostrare che dio non esista ma illustrare un modo non troppo impegnativo per mettere fuori gioco tutte quelle argomentazioni e quei ragionamenti metafisici e fuorvianti che possono svilupparsi attorno all'idea di dio.

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il fatto è che non troverai mai "ragioni" per professarti atea. La scelta fra esistenza e non esistenza di dio non può essere affermata a partire da ragioni che possano farti propendere per l'uno o per l'altro corno del dilemma se non altro perchè dimostrare che qualcosa non esiste non fa parte della grammatica del nostro linguaggio. Attraverso il linguaggio, piuttosto, discorriamo attorno a cose la cui esistenza è una specie di condizione necessaria per garantire un significato a ciò che di esse diciamo.

Dire di provare un richiamo mistico è una cosa diversa rispetto ad affermare l'esistenza di qualcosa di "oggettivamente" mistico: l'esperienza del senso di colpa che tutti noi possiamo in linea di principio provare non necessita affatto che esista una colpa che prescinda dalle pratiche di giustificazione sociale da cui essa trae il suo significato. Il senso di colpa non implica dunque che una colpa reale esista, laddove "reale" significa svincolato dall'insieme delle regole sociali che adottiamo nel nostro comportamento.

Se sei in grado di dare senso alla tua esistenza senza l'appello ad elementi sovrannaturali non ha più senso nemmeno chiedersi se esista o non esista dio. Dire di credere che non esiste sarebbe superfluo come dire che non crediamo esista una tazza di porcellana che ruota attorno a Saturno. Ciò non significa appunto dimostrare che dio non esista ma illustrare un modo non troppo impegnativo per mettere fuori gioco tutte quelle argomentazioni e quei ragionamenti metafisici e fuorvianti che possono svilupparsi attorno all'idea di dio.

ma soprattutto: perché scrivi "dio" in minuscolo e Saturno in maiuscolo? sei per caso pagano?

http://www.youtube.com/watch?v=hvBHhvvBfM0

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il fatto è che non troverai mai "ragioni" per professarti atea. La scelta fra esistenza e non esistenza di dio non può essere affermata a partire da ragioni che possano farti propendere per l'uno o per l'altro corno del dilemma se non altro perchè dimostrare che qualcosa non esiste non fa parte della grammatica del nostro linguaggio. Attraverso il linguaggio, piuttosto, discorriamo attorno a cose la cui esistenza è una specie di condizione necessaria per garantire un significato a ciò che di esse diciamo.

Dire di provare un richiamo mistico è una cosa diversa rispetto ad affermare l'esistenza di qualcosa di "oggettivamente" mistico: l'esperienza del senso di colpa che tutti noi possiamo in linea di principio provare non necessita affatto che esista una colpa che prescinda dalle pratiche di giustificazione sociale da cui essa trae il suo significato. Il senso di colpa non implica dunque che una colpa reale esista, laddove "reale" significa svincolato dall'insieme delle regole sociali che adottiamo nel nostro comportamento.

Se sei in grado di dare senso alla tua esistenza senza l'appello ad elementi sovrannaturali non ha più senso nemmeno chiedersi se esista o non esista dio. Dire di credere che non esiste sarebbe superfluo come dire che non crediamo esista una tazza di porcellana che ruota attorno a Saturno. Ciò non significa appunto dimostrare che dio non esista ma illustrare un modo non troppo impegnativo per mettere fuori gioco tutte quelle argomentazioni e quei ragionamenti metafisici e fuorvianti che possono svilupparsi attorno all'idea di dio.

Temo di non seguire il tuo discorso! Il ragionamento da cui parto per indagare sulla mia ricerca religiosa non è l'esistenza o non esistenza di un dio perché, come dire, lo vedo come una rivelazione (intellettuale? psicologica?) superflua e comunque successiva: vivo ancora in una sorta di naturalismo, una semplice serie di consapevolezze sulla mia profonda insensatezza, che non vuole assolutamente assumersi la grande responsabilità -parlo sempre di opinioni, ma per me anche un'opinione è una grande responsabilità- sull'esistenza o non esistenza di un'entità superiore! Che la religione si limiti all'antitesi essere - non essere mi sembra un po' un luogo comune!

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Temo di non seguire il tuo discorso! Il ragionamento da cui parto per indagare sulla mia ricerca religiosa non è l'esistenza o non esistenza di un dio perché, come dire, lo vedo come una rivelazione (intellettuale? psicologica?) superflua e comunque successiva: vivo ancora in una sorta di naturalismo, una semplice serie di consapevolezze sulla mia profonda insensatezza, che non vuole assolutamente assumersi la grande responsabilità -parlo sempre di opinioni, ma per me anche un'opinione è una grande responsabilità- sull'esistenza o non esistenza di un'entità superiore! Che la religione si limiti all'antitesi essere - non essere mi sembra un po' un luogo comune!

L'antitesi che menzioni è il dubbio ultimo. Io credo che la religione abbia a che fare con tutti gli aspetti della vita e che riguardi in buona parte la nostra esistenza qui. Io non la vivo come una "opinione", perchè per avere una opinione forte bisognerebbe conoscere tutti i maestri del pensiero (cristiani e non) e comunque non arriveresti da nessuna parte. Ci vuole la Fede, che almeno per me si traduce nell'aderenza ai Vangeli (nel mio piccolo).

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boh, il fatto che tutte le religioni mettano dei paletti su ciò che la natura ci ha dato, me le rende antipatiche. La repressione continua di una vasta gamma di emozioni, la perpetua sottomissione della donna al dominio dell'uomo, le accomunano tutte. Cosa c'è di divino in tutto questo? Uomini ispirati da dio, che si sono messi a scrivere l'Ordine delle cose ad un certo punto della vita di un pianeta in perfetto stile androcentrico, annunciando la proprietà di istinti/sentimenti che sempre sono appartenute alla natura umana e animale, gettando le responsabilità di altre emozioni, che sempre appartengono alla natura, nelle mani di una entità maligna...

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Temo di non seguire il tuo discorso! Il ragionamento da cui parto per indagare sulla mia ricerca religiosa non è l'esistenza o non esistenza di un dio perché, come dire, lo vedo come una rivelazione (intellettuale? psicologica?) superflua e comunque successiva: vivo ancora in una sorta di naturalismo, una semplice serie di consapevolezze sulla mia profonda insensatezza, che non vuole assolutamente assumersi la grande responsabilità -parlo sempre di opinioni, ma per me anche un'opinione è una grande responsabilità- sull'esistenza o non esistenza di un'entità superiore! Che la religione si limiti all'antitesi essere - non essere mi sembra un po' un luogo comune!

ti sei mai chiesto quali siano i presupposti concettuali da cui può emergere la "consapevolezza" della tua insensatezza? Solo se si pretende che il senso debba essere qualcosa di "esterno" rispetto ai prodotti sociali si finisce per affermare che la vita è insensata nel momento in cui il nostro sguardo più accorto e secolarizzato non scorge alcun ordine teleologico "dietro" ai fenomeni naturali. Ma il senso lo si stabilisce allorquando la nostra azione si orienta secondo regole intersoggettive che ne implicano l'esistenza. Come il movimento di un pezzo di legno può rappresentare la mossa di una pedina solo dopo che si siano istituite le regole del gioco degli scacchi, così il riflesso di un senso appare sulla superficie delle cose solo se le nostre azioni fanno parte di un progetto culturale condiviso. Il luogo comune più grande è rappresentato dal parallelismo fra le coppie di antinomie "naturale"-"sovrannaturale" ed "insensato"-"sensato". Perchè abbiamo bisogno di una giustificazione del senso dei fenomeni che sia "intrinseca" ai fenomeni per poter dire che essi abbiano senso? Quel pezzo di legno che si muove su quella scacchiera non è intrinsecamente un alfiere; eppure quando lo vedo ed esclamo "hai mosso l'alfiere, ora il re è sotto scacco!" nessuno si sognerebbe mai di obbiettare che ciò che dico non ha senso sulla base del fatto che sotto certi aspetti è corretto dire che un pezzo di legno non è un alfiere ma "solo" un pezzo di legno.

PS: L'affermazione di Lacatus secondo cui le religioni sono qualcosa di immensamente più largo e vasto della mera spiegazione del perchè esistiamo è un tipico caso di "intorbidimento" del discorso. Che vuol dire? Dai qualche spiegazione, facci un esempio.

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ti sei mai chiesto quali siano i presupposti concettuali da cui può emergere la "consapevolezza" della tua insensatezza? Solo se si pretende che il senso debba essere qualcosa di "esterno" rispetto ai prodotti sociali si finisce per affermare che la vita è insensata nel momento in cui il nostro sguardo più accorto e secolarizzato non scorge alcun ordine teleologico "dietro" ai fenomeni naturali. Ma il senso lo si stabilisce allorquando la nostra azione si orienta secondo regole intersoggettive che ne implicano l'esistenza. Come il movimento di un pezzo di legno può rappresentare la mossa di una pedina solo dopo che si siano istituite le regole del gioco degli scacchi, così il riflesso di un senso appare sulla superficie delle cose solo se le nostre azioni fanno parte di un progetto culturale condiviso. Il luogo comune più grande è rappresentato dal parallelismo fra le coppie di antinomie "naturale"-"sovrannaturale" ed "insensato"-"sensato". Perchè abbiamo bisogno di una giustificazione del senso dei fenomeni che sia "intrinseca" ai fenomeni per poter dire che essi abbiano senso? Quel pezzo di legno che si muove su quella scacchiera non è intrinsecamente un alfiere; eppure quando lo vedo ed esclamo "hai mosso l'alfiere, ora il re è sotto scacco!" nessuno si sognerebbe mai di obbiettare che ciò che dico non ha senso sulla base del fatto che sotto certi aspetti è corretto dire che un pezzo di legno non è un alfiere ma "solo" un pezzo di legno.

Penso che dopo ciò avrò una spinta in più per vivere privata di un senso di colpa moraleggiante che mi incinta alla pseudomeditazione: o acquisterò finalmente equilibrio o uscirò sconfitta da tutta la razionalità del mondo. Vi farò sapere!

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Non entro nel dibattito filosofico, dico semplicemente che io non credo. Studierò filosofia e sono un appassionato di astronomia, sono due cose che portano all'ateismo abbastanza facilmente. Proprio non riesco a credere al Dio che la Chiesa professa, alla Chiesa come istituzione, ai dogmi, ai Sacramenti e al loro valore, ad una vita dopo la morte ecc.

Prendete un telescopio, andate in un osservatorio o semplicemente sfogliate un libro di astronomia, come è possibile pensare che tutto questo sia stato creato per noi? Che tutto quello che vedete ha un senso, esiste, solo in relazione e grazie alla volontà di un Singolo (so che singolo non è la parola corretta, salvate il concetto)? Il discorso vale per ogni religione, personalmente le considero storielle il cui obiettivo è giustificare e riempire di significato una permanenza terrena parzialmente inspiegabile.

Rimane comunque il fatto che il messaggio di Cristo è uno dei più rivoluzionari della storia (in senso positivo se interpretato metaforicamente), peccato che le persone sbagliate si sono impossessate di questo messaggio nel corso della storia e lo abbiano strumentalizzato.

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Bah, non puoi ridurre la questione del principio antropico così, alla leggera. La questione è molto, molto più complessa. Per dire: l'enorme "spreco di spazio" dell'Universo viene visto come una prova della non essitenza di una volontà creatrice: tuttavia a studiare modelli di evoluzione (sostanzialmente, la nucleosintesi degli elementi necessari per la vita) e probabilità affini, vai a vedere come il fatto che (per quanto ne sappiamo) dopo soli 9 miliardi di anni dal Big Bang si sia venuta a formare vita su un pianeta (ovvero, una complessità di legami tra atomi unica, mica solo idrogeno molecolare o neutro o ionizzato) costituisca un tempo necessario, anche abbastanza "record", inevitabile perchè tutto quello che noi si possa osservare sia uno "spreco di spazio".

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come è possibile pensare che tutto questo sia stato creato per noi? Che tutto quello che vedete ha un senso, esiste, solo in relazione e grazie alla volontà di un Singolo

a parole è tutto facile...sinceramente mi sorgono parecchi dubbi davanti a tutti coloro che si professano così facilmente "atei" (e non intendo solo "cristianamente atei", ma liberi da qualsiasi concezione di un'entità superiore). Insomma, affrontare la celeberrima morte di dio non credo sia impresa tanto facile, credo piuttosto che un simile atto debba condurre come minimo ad una crisi psicologica senza pari. è facile non credere più in dio, meno facile è estirpare il concetto di "provvidenza", il concetto di un tribunale invisibile che infondo infondo giudica le nostre azioni, anche se non ne siamo propriamente consci. Il più delle volte dio non lo si abbandona, ma lo si proietta su qualcosa di più razionale. Ad esempio dopo che avete passato un mese d'inferno, dove vi sono accaduti una serie di eventi tragici e drammatici, magari vi capita di giocare alla lotteria: non nascerebbe forse dentro di voi quella piccola speranza che il "fato" vi riservi stavolta un po' di fortuna? che il tribunale invisibile serbi un piccolo occhio di riguardo per voi poveri malcapitati? è solo un esempio per carità, sostituibile con mille altri, ma credo di essermi spiegato. Diventare atei significa dare via libera al vuoto (o al tutto), abbattere le dighe dell'autodifesa contro il nulla che le religioni, col sudore di millenni, hanno tentato di costruire, e sinceramente non penso sia impresa da tutti.
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